Renault 4: per i 50 anni l’abbiamo provata su strada
Come molti di voi sapranno, quest’anno la Renault 4 festeggia i 50 anni di storia: sicuramente è stata una vettura che ha contribuito a rappresentare il marchio francese nel mondo nonché un’auto simbolo dei tempi moderni e del boom economico. E’ stata prodotta dal 1961 fino al 1993 e, con varie evoluzioni, ne sono state
Come molti di voi sapranno, quest’anno la Renault 4 festeggia i 50 anni di storia: sicuramente è stata una vettura che ha contribuito a rappresentare il marchio francese nel mondo nonché un’auto simbolo dei tempi moderni e del boom economico. E’ stata prodotta dal 1961 fino al 1993 e, con varie evoluzioni, ne sono state assemblate ben 8.135.424. La Renault 4 nacque con il target di contrastare da vicino un’ altra perla dell’industria automobilistica francese, l’indimenticabile Citroen 2CV che aveva dalla sua una carrozzeria davvero particolare. La Renault 4 maturò il suo successo grazie alla maggiore praticità e potenza rispetto alla connazionale. I motori passati sotto al cofano della vettura nel corso delle sue evoluzioni sono andati da una cilindrata di 0.75 litri al massimo di 1.0.
Il 4 cilindri da 747 cc della prima serie era già tecnicamente superato al lancio. Ma, essendo lo stesso montato per anni sulla 4CV, permetteva di tenere molto bassi i costi di produzione: raffreddato ad acqua, era in grado di erogare una potenza massima di 24 CV a 4500 giri/min ed una coppia massima di 4.9 kgm a 2500 rpm. A partire dal 1964, sulla 4L fu montato un motore da 845 cc, capace di 30 CV a 4700 giri/min. Sulle R4 base e sulle versioni per l’attività commerciale la cilindrata passò invece da 747 a 782 cc con una potenza massima di 27/30 CV a seconda della serie. Nel 1967 venne invece introdotto il cambio a quattro marce. Nel 1975 le R4 furgonate equipaggiarono i motori prodotti a Cléon (presi dalla R6): essi garantivano fino a 34 CV a 4000 giri/min e furono poi estesi anche alle R4 GTL del 1978. Nella seconda metà degli anni ’80 la cilindrata crebbe sino ai 956 cc con una potenza massima di 34 CV, mentre sulla GTL furono adottati i freni a disco all’avantreno.
Al volante della vettura ci si sente catapultati nel passato anche da fermi: basta ascoltare il rumore che emette la portiera quando si chiude o attendere qualche secondo affinché il motore si accenda per rivelare la sua voce libera da catalizzatori o silenziatori troppo invadenti. Per chi non se ne intende basta invece dare un’ occhiata alle portiere, estremamente sottili o all’architettura spartana dell’abitacolo con la leva del cambio che spunta a fianco del cruscotto. Poi, quando si riesce ad ingranare la prima ed a partire, si deve fare i conti con la trasmissione priva dei sincronizzatori e dei cuscinetti che oggigiorno rendono “facile” ogni trasmissione manuale. E’ quindi facile “steccare” una marcia mentre il motore sale di giri e la macchina si pianta. Ma è anche il bello di vetture come queste. Ovviamente parlare di potenza, ripresa ed accelerazione diventa del tutto fuori luogo. Ma sono specialmente i freni, al primo impatto inquietanti, a trasportarti definitivamente nello spirito (da passeggio) dell’auto ed a farti comprendere che proviene da un’altra epoca. Attraverso la sottile ma generosa corona dello sterzo si avverte la tendenza dell’esigua gommatura ad assecondare le asperità stradali mentre rollio e beccheggio ti ricordano che sei su un’auto che ha ben mezzo secolo “sulla groppa”: in frenata ed in curva si ha l’impressione di essere su una barchetta in mezzo al mare mosso. Ma è anche la tenerezza che reazioni di questo genere ispirano al guidatore a rendere questo tipo di vetture indimenticabili.