Storia Lancia: un marchio di prestigio (seconda puntata)
Scopri le vicende legate alla tradizione del marchio automobilistico torinese, che ha avuto un passato glorioso
Dopo la prima puntata, proseguiamo il cammino nella storia della Lancia, che ha avuto sempre un occhio di riguardo per l’innovazione e la bellezza, come testimonia l’accostamento fra Gina Lollobrigida e la Flavia, prima vettura italiana con trazione anteriore, motore boxer e freni a disco sulle quattro ruote. Una ricerca di modernità che si ravvisa anche nella Fulvia berlina, pronta a coccolare gli occupanti con un comfort di livello superiore. Ma nel listino dell’azienda torinese non sono mancate proposte più sportive.
Un esempio lampante giunge proprio dalla coupé di quel modello, che ha alimentato i sogni dei cultori del genere. Anche donne brillanti come Brigitte Bardot ebbero modo di apprezzarne le qualità, che si espressero al meglio in ambito agonistico, con una lunga scia di successi. La Lancia Fulvia HF, condotta da Sandro Munari, arricchì il palmares del marchio torinese, tracciando un sentiero poi percorso da altre creature che ne ereditarono lo spirito. In primis la Stratos, una delle auto più amate dagli appassionati di tutto il mondo.
Quel gioiello torinese, dalla linea avveniristica, era spinto dal 6 cilindri della Dino 246, che suonava in gara come un violino. Anche la trasmissione arrivava da Maranello. Il telaio monoscocca centrale in lega leggera, opportunamente rinforzato, garantiva una robustezza esemplare. Sul comportamento dinamico non c’è nulla da aggiungere, vista la forza espressiva dei risultati: nel 1974 e nei due anni successivi la Lancia Stratos vinse il Campionato del Mondo Rally.
Toccò alla 037 rinverdire i fasti della luminosa esperienza. Il suo 2 litri a quattro cilindri traeva energia da un compressore volumetrico sviluppato dall’Abarth. Lo chassis era estremamente semplice, mentre la carrozzeria profumava di Beta Montecarlo. In versione da gara colse numerose affermazioni, facendo suo il Mondiale Rally del 1983. A quella berlinetta a trazione posteriore fece seguito la Lancia Delta S4, che introdusse la trasmissione integrale nella produzione del marchio.
La sua tecnologia era d’avanguardia, anche rispetto alle altre belve del Gruppo B. Una delle caratteristiche più rilevanti era l’evoluto sistema di sovralimentazione con compressore volumetrico e turbocompressore, che dava foga al quattro cilindri in linea. Una scelta tecnica idonea a garantire un tiro pieno ed efficace a tutti i regimi. La sua carriera, iniziata nel 1985, terminò alla fine dell’anno successivo.
Poi il testimone passò alla Delta, che nelle diverse declinazioni (4WD, Integrale 8V, Integrale 16V e seguenti), vinse il Campionato Mondiale Rally per sei volte consecutive (dal 1987 al 1992), aggiungendo splendore a un cammino leggendario, i cui riflessi hanno marcato pure la pista. Basti pensare alle prove di forza della Beta Montecarlo Turbo che nel 1980 e 1981 conquistò il Campionato Mondiale Marche della categoria endurance. Più recenti le imprese della LC2, spinta da un propulsore Made in Maranello.
La ricca storia di famiglia è fatta anche di creature come la 112, commercializzata col logo Autobianchi. Questa vettura, nelle versioni Abarth, seppe dare il filo da torcere a modelli di tempra più muscolosa. Venne sostituita dalla Y10, la cui originalità stilistica era il suo punto di forza. La nuova utilitaria, disponibile in allestimento 4wd, seppe piacere alla gente più in vista, che la usò come macchina cittadina alla moda. Al 1972 risale la presentazione della Beta, seguita alcuni anni dopo dalla Gamma.
Più radicata nel cuore degli appassionati la Delta, che oltre alle versioni geneticamente corsaiole offriva opzioni più tranquille, da onesta vettura media. Il suo nome è stato poi ripreso da prodotti successivi, senza replicarne le fortune sportive e “sentimentali”. Equilibrata e piacevole la Prisma, una tre volumi che non è riuscita a lasciare traccia nella gloriosa antologia del brand torinese. Diverso il destino della Thema, che segnò nel 1985 il ritorno nel segmento delle ammiraglie, a lungo lasciato scoperto.
Della stirpe fece parte anche la 8.32, mossa da un motore di origine Ferrari. Tra le sue particolarità l’alettone posteriore retrattile, gli interni in pelle e radica e i cerchi in lega a cinque razze ispirati a quelli delle opere del “cavallino rampate”. Di un segmento più basso era la Dedra, su cui per un certo periodo si concentrarono le speranze commerciali del management. I ricordi degli ultimi decenni si legano però ai bolidi da corsa che hanno dominato le sfide più impegnative dello scacchiere internazionale.