Salone di Parigi 2018: auto elettriche? Sì, senza carica
I modelli a zero emissioni hanno monopolizzato le scelte dei costruttori. Ma è impensabile una diffusione su larga scala in tempi brevi. Mancano le batterie. Materie prime e costi. L’infrastruttura di ricarica. I problemi di gestione delle reti elettriche
Un alieno che si fosse aggirato nei giorni scorsi tra gli stand del salone di Parigi 2018 avrebbe potuto pensare che il pianeta sia ormai migrato verso l’impiego di massa delle auto elettriche. Tuttavia le auto esposte nei saloni sono solo delle anticipazioni di qualcosa che arriverà in futuro (spesso, solo di qualcosa che potrebbe arrivare ma non è detto), non di realtà circolanti e diffuse. Perché si fa presto a dire auto elettrica. Ma a farla? In mezzo c’è un mare di problemi tecnici concreti che non si possono risolvere in tempi brevi con provvedimenti fuori dalla realtà. Se anche il sogno degli ambientalisti più fanatici, vietare la circolazione a tutte le auto a combustione, dovesse avverarsi tramite violenza politica, comunque resterebbe impossibile sviluppare rapidamente una diffusione di massa della propulsione elettrica. Perché di questo parliamo. Se le auto elettriche restassero un giocattolo per ricchi snob, sarebbero per sempre irrilevanti. Come lo erano le automobili d’inizio Novecento. Ma la diffusione di massa necessita innanzitutto di prezzi accessibili. Poi c’è il resto. Tutto ciò attualmente è impossibile da ottenere in breve.
Perché le evoluzioni richiedono sempre tempi lunghi, la necessaria maturazione di condizioni sociali, culturali, tecnologiche ed economiche. Invece le rivoluzioni lasciano solo macerie. Quando il vostro serbatoio di elettroni si è esaurito dopo pochi chilometri, dove attaccate quella benedetta spina per eseguire la lunghissima ricarica? Chi vi fornisce l’energia elettrica? Prodotta come? Con quali costi? Come, quando e dove si può adeguare la rete di distribuzione elettrica per sostenere un aumento di carico esponenziale ed improvviso? Case, aziende e ospedali al buio perché così vogliono i profeti del “tutto e subito”? E dove si vanno a scavare le materie prime per fabbricare le indispensabili batterie? Chi le controlla? Se ne producono a sufficienza? E’ possibile aumentarne l’estrazione a livelli compatibili con una diffusione su larga scala? Con quali modalità si smaltirebbe una massa enorme di batterie esaurite? In questo caso la possibilità del riciclo attenuerebbe i problemi, però non li farebbe sparire.
La sintesi del discorso che illustreremo nelle righe seguenti è: date le attuali condizioni tecnologiche, economiche e sociali, col cavolo che nel 2030 la maggior parte dei veicoli venduti al mondo sarà elettrica, come molti “studi” interessati vogliono far credere. Perché non ci sono abbastanza batterie per le auto; i sistemi di produzione e distribuzione di energia elettrica non sono in grado di reggere una trasformazione delle richieste di quella magnitudine; se anche lo diventassero, il ritmo di costruzione di stazioni di ricarica è di gran lunga insufficiente.
Vendite mondiali di auto elettriche: una goccia nell’oceano
I motivi che abbiamo appena elencato, seri e precisi, hanno come conseguenza un misero 0,8% di auto elettriche vendute nell’Unione europea nel primo semestre 2018 e un altrettanto misero 0,9% di ibride plug-in (le ibride auto-ricaricabili, 3,5%, non hanno bisogno di spina). Non che negli Stati Uniti la situazione sia migliore: negli USA le vendite di auto elettriche rappresentano poco meno dello 0,5%, di cui metà nella sola California; per le ibride plug-in abbiamo invece lo 0,4%, mentre le ibride auto-ricaricabili incidono per il 2,6%.
Diverso il discorso della Cina che si è mossa in modo furbo: oggi controlla la maggior parte delle riserve mondiali di materie prime per costruire le batterie, imponendo un sostanziale monopolio. Utilizzando le colossali risorse finanziarie accumulate andando a carbone, petrolio ed energia nucleare, il governo cinese prevede incentivi sulle auto elettriche da oltre 150 Km di autonomia e 105 Watt/ora per Kg nella densità energetica delle batterie (la tecnologia attuale permette di raggiungere i 150). Difficile però stabilire quante siano le auto elettriche vere, poiché vengono diffusi dati scorrettamente manipolati, un vizio che hanno anche gli americani.
Infatti vengono messe insieme le vendite di auto elettriche e ibride plug-in, per gonfiare i numeri facendo credere che le elettriche vendute siano molte di più. Dimenticando il fatto che le auto ibride plug-in hanno il loro bel motore a benzina, il quale non resta certo spento. Altro che zero emissioni. Tutte le “elettrificate” hanno venduto circa il 4% nei primi sei mesi del 2018. Si presume che tre quarti siano auto elettriche vere. Quindi potremmo essere intorno al 3%. Dati da prendere assolutamente con le pinze. Ma è certo che la Cina è ormai di gran lunga il maggiore mercato del mondo in assoluto, anche per quanto riguarda le auto elettriche.
Le batterie delle auto elettriche: poche e soprattutto cinesi
Quindi la realtà attuale è piuttosto desolante. Ma perché si procede così lentamente? Seguiamo il percorso della “filiera elettrica” per capire meglio. Le auto elettriche costano molto di più di quelle tradizionali a causa delle batterie. Ad inizio 2018 il prezzo medio era di 209 dollari (oggi 182 euro) per kWh. Secondo molte previsioni, ci vorranno non meno di otto anni per scendere a 100 $. Per avere una capacità che garantisca un’autonomia decente ci vogliono almeno 40 kWh, sufficienti per almeno 250 Km in condizioni reali. Quindi potenzialmente circa 8.300 dollari, poco più di 7.200 euro. Ma se proiettiamo il discorso ad un utilizzo di massa, la capacità deve salire per coprire anche gli spostamenti extraurbani. Quindi dovrebbe almeno raddoppiare: 14.000 euro? Non male. Tralasciando il discorso del peso, altra questione non proprio irrilevante. Altro dettaglio non da poco: se la domanda sale e l’offerta non riesce a soddisfarla, i prezzi aumentano invece di diminuire.
Ma come sono fatte le batterie di un’auto elettrica? I materiali-chiave data la tecnologia attuale sono litio e cobalto (ce ne sono molti altri, fra i quali grafite, nichel e manganese), sostanze che vanno estratte dalle miniere. Per quanto riguarda il litio, i maggiori paesi produttori sono Australia, Cile, Argentina e Cina. Per fabbricare una batteria per auto elettriche si stima che servano circa 160-170 grammi di quel metallo per kWh (la quantità effettiva dipende dalle tecniche di ciascun produttore; inoltre il materiale viene venduto come carbonato di litio, ma restiamo sul semplice). Sull’esempio di una batteria da 40 kWh quindi siamo a circa 6,4 Kg di litio, il cui prezzo di mercato è di circa 85 $/Kg. Il costo finale del litio per una batteria auto è stimato in circa 14 $/kWh; siamo a 560 $ nel nostro esempio (attualmente un dollaro è quotato a 0,87 euro).
Il litio non è un materiale raro di per sè, è molto abbondante nella crosta terrestre. Ma trasformarlo per l’utilizzo industriale è un altro paio di maniche. Nel 2016 la produzione mondiale è stata di 35.000 tonnellate. Le riserve mondiali sono stimate in circa 14 milioni di tonnellate. I principali impianti in questo settore (potremmo definirli “raffinerie di litio”) sono cinesi, controllano circa il 50% del fabbisogno mondiale. Inoltre questo materiale non viene usato solo per i veicoli: va condiviso con tutte le altre apparecchiature che utilizzano batterie al litio. Telefonini in testa. Rinunciare allo smartphone per l’auto? Da ridere. Semmai oggi accade il contrario, fra i giovani.
Passiamo al cobalto. Quello estratto fisicamente dalle miniere è una piccola parte, la maggior parte viene prodotta come derivato dalla lavorazione di rame e nichel. L’offerta mondiale di cobalto raffinato nel 2017 è stimata in circa 117.000 tonnellate. In una batteria per auto se ne usano circa 400 g/kWh. Il costo è di circa 55 $/Kg, pari a 22 $/kWh. Quindi per la nostra auto da 40 kWh servirebbero circa 16 Kg di cobalto, per un costo di 352 dollari.
Il maggior produttore planetario è la Repubblica democratica del Congo, oltre il 50%. Ad enorme distanza troviamo Russia, Australia e Canada. Nemmeno il cobalto è un materiale raro; qui i problemi provengono dalla nazione che domina l’offerta. Sul Congo infatti ci sono molti problemi etici, poiché nelle miniere vengono impiegati e sfruttati soprattutto bambini (oltre 40.000 nel 2014, dati Unicef).
Inoltre, da un punto di vista strettamente industriale, l’endemica instabilità e inaffidabilità politica del Congo, causa anche del proliferare delle cosiddette “miniere artigianali” (gestite con metodi paragonabili a quelli che gli scafisti usano con i migranti) costituisce un grosso freno agli investimenti esteri. Ma la Cina sorvola su tali questioni e ha stretto accordi per accaparrarsi nei prossimi tre anni circa la metà della produzione mondiale del 2017.
Per quanto riguarda la grafite: anche qui la Cina ha un ruolo dominante, poiché produce il 66% del quantitativo mondiale. Per arrivare al prodotto finito, la Cina fabbrica circa il 55% delle batterie al litio costruite nel mondo, fra tutte le tipologie di utilizzo. Capito perché la Cina si può permettere forti sussidi sulle auto elettriche? Quindi la sintesi della questione è: le batterie costano tanto, se ne fabbricano poche e sono soprattutto in mani cinesi, che favoriranno la propria nazione, non certo le altre. Oggi. Immaginate cosa accadrebbe se si aumentasse la diffusione delle auto elettriche a 10 volte quella attuale.
Ricarica auto elettriche: troppe colonnine fanno saltare i contatori
Ma facciamo finta che per magia i problemi di approvvigionamento spariscano e che all’improvviso ci siano abbastanza batterie per sostenere una diffusione su larga scala. Quando la batteria si scarica, che facciamo? Se vogliamo parlare di diffusione di massa, allora deve svilupparsi un’infrastruttura di ricarica capillare. Nel 2017 in Europa (intesa come Ue + Norvegia, Svizzera e Islanda) c’erano circa 140.000 stazioni di ricarica. Possono bastare per le attuali 135mila auto elettriche e 143mila ibride plug-in.
Ma se moltiplicassimo all’improvviso questo numero per 10 (e non arriveremmo ancora al 10% sul totale di auto vendute ogni anno), avremmo di colpo una richiesta 10 volte superiore di energia elettrica che le reti di distribuzione dovrebbero soddisfare. Dimensioni delle centrali elettriche, sviluppo delle reti di trasporto, potenza assegnata alle utenze: tutti elementi che vengono accuratamente calibrati in base alle esigenze reali, perché i costi sono enormi. Se ci fosse un improvviso spostamento della richiesta di energia da benzina, gasolio e gas verso l’elettricità, semplicemente salterebbero tutti i contatori. Black-out ovunque.
Si stima che nel 2025 il fabbisogno mondiale di energia per il trasporto (inclusi i mezzi pesanti) salirà a circa l’equivalente di 60 milioni di barili di petrolio al giorno, dai 55 del 2015. Nel 2030 saranno 65, nel 2040 si arriverà a 75. Considerando che la percentuale attuale di energia elettrica utilizzata per il trasporto stradale è zero, per arrivare almeno al 10% nel 2025 si dovrebbero trasformare in elettricità ogni giorno circa 6 milioni di barili di petrolio. Per affrontare un tale trasferimento di energia, servirebbero colossali investimenti in centrali e reti di elettrodotti, cioè quei tralicci che tanto danno fastidio proprio agli ambientalisti, perché guastano il paesaggio (non più delle pale eoliche, comunque).
Senza considerare l’elemento principale: da dove arriva l’energia? Le nazioni meno scellerate della nostra hanno le centrali nucleari. Ma ne servirebbero delle altre, molte altre. Dove l’atomo non si usa, si dovranno ancora impiegare petrolio e gas, a volte perfino carbone. Non si venga a parlare di energia solare ed eolica, perché il loro apporto è ridicolo oggi e lo diventerebbe ancora di più con l’aumento del carico. E comunque, anche nei pannelli solari fotovoltaici, è sempre la Cina ad essere leader mondiale. Restando a casa nostra, l’Enel ha avviato un piano per installare in Italia 14.000 colonnine di ricarica nei prossimi cinque anni. Quindi solo il 10% delle colonnine esistenti in Europa oggi. Ma si tratta già di uno sforzo non da poco. Questi sono i numeri che guardano in faccia la realtà. Il resto è materia dei sogni.