Accordo Ue-Giappone: cosa cambia per le auto
Unione Europea e Giappone si accordano per abbattere i dazi su migliaia di prodotti, ecco cosa cambia per le auto dati alla mano.
Nei giorni scorsi la Commissione Europea e il Governo del Giappone hanno firmato lo storico accordo di libero scambio, ribattezzato JEFTA (Japan-Europe Free Trade Association), che porterà alla creazione del più grande mercato al mondo senza barriere doganali. Un mercato da circa 600 milioni di consumatori, che rappresenta un terzo del PIL mondiale.
Per entrare in vigore l’accordo dovrà essere ratificato dal Parlamento Europeo e da quello del Giappone. Se non ci saranno intoppi sarà pienamente operativo già nel 2019.
Il JEFTA prevede l’abolizione immediata o progressiva della gran parte delle barriere, doganali e non, attualmente in vigore nel commercio tra le due grandi aree economiche.
Sono letteralmente migliaia i prodotti interessati, che in futuro potranno essere importati ed esportati senza pagare dazio. Tra questi anche le automobili e parti di esse.
Gli attuali dazi al commercio di automobili tra UE e Giappone ammontano al 10% del valore del veicolo (per i veicoli commerciali i dazi variano dal 10% al 22%) e verranno aboliti gradualmente, con scaglioni annui per i prossimi otto anni.
Al termine di questo periodo non ci sarà alcun dazio all’importazione e all’esportazione di auto tra Giappone e Unione Europea.
Ma come cambierà il mercato auto in Europa al termine di questi 8 anni? Cosa cambia realmente con il JEFTA per l’automobilista europeo?
Per cercare di rispondere a queste domande ci siamo concentrati su “casa nostra“, analizzando i dati dell’import di automobili dal Giappone all’Europa.
I dati più recenti sulle importazioni di auto in Europa dal resto del mondo, forniti dall’Associazione Costruttori Auto Europea (ACEA), risalgono al 2016 e sono una aggregazione dei dati EUROSTAT, che è l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea.
In quell’anno sono state 2,9 milioni le autovetture importate in Europa dal resto del mondo, 573.223 delle quali provenivano dal Giappone (per un valore di 9 miliardi di euro).
Nello stesso periodo l’UE ha esportato nel mondo 5,5 milioni di auto, 279.256 in Giappone (per un valore di 7,3 miliardi di euro).
Attualmente, quindi, l’Europa esporta molte meno auto in Giappone di quante ne importi (circa la metà), ma essendo in gran parte auto di segmento alto il deficit in valore non è paragonabile a quello in volumi.
In realtà, però, di auto giapponesi in Europa se ne vendono molte di più di 573 mila: la sola Toyota, ad esempio, nel 2017 ha venduto 1.001.700 veicoli con una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente.
Questo è possibile perché molte delle auto giapponesi non vengono importate in Europa, ma costruite direttamente qui.
Per restare al caso di Toyota, che è il costruttore giapponese più noto e “comprato” in UE, la lista dei suoi impianti produttivi in Europa è lunga e annovera fabbriche di sua diretta proprietà e impianti dove produce in joint venture con altri brand.
Ricordiamone alcuni: una fabbrica di motori, alberi e cambi in Polonia, una fabbrica di veicoli completi in Repubblica Ceca (in partnership con il Gruppo PSA), un’altra in Francia (questa volta 100% Toyota), mentre il furgone Toyota Proace è costruito direttamente da PSA come i suoi fratelli Citroen Dispatch e Peugeot Expert.
Toyota ha anche due impianti produttivi nel Regno Unito (solo motori a Deeside, auto complete a Burnaston), che vanno messi in conto solo e soltanto fin tanto che la Brexit non diventerà realtà. Se lo diventerà.
Questo discorso è ancor più valido nel caso di altri due costruttori giapponesi, Nissan e Mitsubishi, che facendo parte della Renault-Nissan-Mitsubishi Alliance condividono con il costruttore francese piattaforme, motorizzazioni e impianti produttivi.
Dal punto di vista dei dazi, e quindi del prezzo finale d’acquisto del veicolo giapponese in Europa, non cambierà molto per il consumatore europeo con l’accordo JEFTA.
Tant’è che la stessa ACEA ha espresso un parere positivo ma “condizionato” all’accordo, mettendo in luce come il problema vero non sono le tariffe doganali.
“È di vitale importanza che l’UE negozi un allegato per le automobili (il capitolo del JEFTA relativo alle importazioni dei veicoli, ndr) più solido nell’accordo di libero scambio UE-Giappone, che incoraggi la collaborazione normativa, ma consenta anche di affrontare le questioni in caso di non conformità“, ha affermato Erik Jonnaert, segretario generale di ACEA.
Una puntualizzazione non casuale perché, oltre all’accordo sulle tariffe, nel JEFTA c’è anche un importante accordo su tecnologie e normative.
Il patto di libero scambio prevede infatti che Giappone e UE si allineino alle stesse normative internazionali sulla sicurezza dei prodotti e sulla protezione dell’ambiente.
Questo significa che le auto saranno soggette agli stessi requisiti sia in UE che in Giappone e che un modello testato e approvato in UE possa essere commercializzato in Giappone senza ulteriori test e omologazioni. E viceversa, ovviamente.
Tra le tante tecnologie del mondo automotive a cui dobbiamo guardare in ottica JEFTA ce ne sono soprattutto due: auto connesse e guida autonoma. Entrambe hanno a che fare, pesantemente, con i requisiti di sicurezza che auto giapponesi e auto europee dovranno gradualmente condividere.
Per quanto riguarda le auto connesse, che aumentano la sicurezza sulla strada ma trasferiscono una mole enorme di dati personali (a volte anche dati sensibili), non è un caso che all’interno del JEFTA ci sia un capitolo sulla protezione dei dati.
Come riporta il Corriere Comunicazioni, che ha analizzato il capitolo in questione, “Giappone e Unione europea hanno concordato di riconoscere i sistemi di protezione dei dati come “equivalenti”. Tokyo ha accettato di innalzare gli standard di sicurezza portandoli ai livelli europei: sarà ampliata la definizione di dati sensibili, reso più facile l’esercizio dei diritti di accesso e rettifica, rafforzata la protezione in caso di trasferimento di dati europei dal Giappone verso un Paese terzo“.
Per quanto riguarda la guida autonoma, invece, sia a livello europeo che a livello giapponese gran parte delle regole sono ancora da scrivere.
Difficilmente le autorità politiche potranno scriverle senza ricevere “suggerimenti” dai grandi brand dell’automotive, che possiedono brevetti e hanno accordi commerciali già operativi con i produttori dell’hardware e del software che girerà sulle auto senza conducente.
Poter implementare le stesse tecnologie in un unico mercato da 600 milioni di consumatori, regolato dalle stesse normative, non farà altro che accelerare lo sviluppo, abbassandone i costi, di queste funzionalità.
Ciò potrebbe mettere i costruttori europei e giapponesi in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. Statunitensi e coreani, innanzitutto. La Cina, come ben sappiamo, fa storia a sé.