Serio rischio di assuefazione. In pista a Monza con la Radical SR8
Gli inglesi usano un’espressione perfetta per descrivere l’effetto di cose, visioni o esperienze incredibili: “mind-bending”. Là. Con due parole hai sintetizzato un concetto come meglio non avresti potuto. Qualcosa che ti piega la mente. Qualcosa di tanto potente da lasciarti dentro un segno indelebile. Qualcosa di così profondo che sembra non avere un limite, che
Gli inglesi usano un’espressione perfetta per descrivere l’effetto di cose, visioni o esperienze incredibili: “mind-bending”. Là. Con due parole hai sintetizzato un concetto come meglio non avresti potuto. Qualcosa che ti piega la mente. Qualcosa di tanto potente da lasciarti dentro un segno indelebile. Qualcosa di così profondo che sembra non avere un limite, che ti consente di spingerti sempre più in là, ma senza mai lasciarti percepire fin dove potresti arrivare. Questo è una Radical in pista. Niente di lontanamente paragonabile a qualsiasi cosa omologata a quattro ruote.
Il nostro incontro con uno dei costruttori più pazzi del pianeta e con il team satellite italiano, Solaris Motorsport, si è svolto a Monza un paio di settimane fa ed è andato oltre ogni più rosea aspettativa. Al track day ufficiale organizzato dalla casa inglese (un’azienda giovane, nata nel 1996 dalla passione e dagli investimenti di quattro amici), erano presenti, oltre alla SR8 nera del team italiano che vedete tra le foto, tre esemplari della gamma: SR3, SR5 ed SR8. Proprio lei, l’auto stradale più veloce sul Nürburgring è stata la nostra compagna sulla pista di Monza, uno degli ultimi templi della velocità al mondo.
La Radical SR8, dal momento del suo storico record (6’55”) sulla Nordschleife nel 2005, è cambiata. Molto. Il motore, su cui ci soffermeremo in seguito, è passato da 360 a 380 CV, l’aerodinamica è stata continuamente aggiornata ed è nata inoltre una disumana versione LM dotata di un 2.8 V8 da 460 CV. Ora più che mai è un affilatissimo, letale rasoio affetta-cordoli che guarda dall’alto in basso qualunque oggetto le si avvicini in pista durante un track day. Venite a conoscerla nel nostro resoconto.
Radical SR3, SR5 ed SR8: le foto da Monza
Sin dal primo sguardo, ti trovi di fronte ad un’auto che non concede nemmeno un centimetro del suo corpo a frivolezze di sorta. Tutto è dettato da un solo obiettivo: efficacia. La linea è scolpita dall’aerodinamica, lo spoiler posteriore si misura a metri quadri; tutto il resto è accessorio.
I dettagli, dai gruppi ottici posteriori così splendidamente essenziali e “trasandati”, sino agli adesivi “demodé” sulla carrozzeria, non inseguono lo stile e ti lasciano volutamente intendere che la sostanza è proprio da tutt’altra parte.
E allora, per andare a cercarla quest’anima profonda, sulla Radical SR8 ci sali. Ad accoglierti: due seggiolini di plastica, una piccola cavea teatrale in fibra di carbonio a mò di scarno cruscotto, una R in campo rosso, un grosso display digitale orientato verso lo sguardo del pilota, qualche interruttore con grandi icone a suggerire le funzioni vitali dell’auto da essi regolate. Stop. Perfetta. Entri e ti “accomodi”, con una seduta “altezza-asfalto” ed i piedi piuttosto in alto, pronto per la pista.
Forse a questo punto sarebbe meglio interrompere il racconto. Per chi non l’avesse ancora fatto, avviate il video in testa all’articolo, che mostra alcuni guided laps prima dei giri “veri” effettuati dopo il passaggio in pitlane. Chi l’ha già fatto invece capirà cosa stiamo dicendo quando parliamo di “urlo lacerante del motore”. Una sinfonia dal volume selvaggio e dal timbro graffiato, sprezzante, capace di trascinare mente e corpo in un’emozione nuova, lunga e terribilmente intensa. A metà curva già pregusti mentalmente la prossima accelerazione, tra la voglia e il timore di provare di nuovo una cosa così spaventosa e travolgente.
Tanto più che il sonoro è un semplice accompagnamento della spinta del propulsore, il cui nome di battesimo è RPA. Si tratta di un 2.6 V8, un aggeggio sistemato proprio lì dietro la tua schiena e sviluppato dagli ingegneri di Powertec, divisione interna del gruppo Radical. I ragazzi di Peterborough hanno preso due Suzuki Hayabusa, hanno smontato i loro 1.3 quattro cilindri, hanno costruito nuovi blocco e albero motore, e hanno riassemblato il tutto con un angolo di 72° creando un otto cilindri capace di erogare la bellezza di 380 CV al ridicolo regime di 10.500 giri/min.
La parentesi tecnica era necessaria per dire che questa Radical SR8, semplicemente, vola. Per essere più precisi, a lasciare esterrefatti è il constatare -e lo stupirsi-, giro dopo giro, della spinta senza fine dell’RPA V8. L’allungo è rabbioso sin dai bassi (anche se i bassi regimi per auto di questo tipo indicano qualcosa di ben diverso da quanto intendiamo normalmente), ma poi prosegue e anzi esplode davvero in tutta la sua foga con l’avvicinarsi del limitatore. Che sembra sempre lontanissimo, almeno per noi automobilisti, abituati a ben altri range. Tanto da farti dubitare della sua stessa esistenza.
Questa enorme potenza, nemmeno a dirlo, è adeguatamente assistita da qualcosa di altrettanto strabiliante. Il cambio elettroattuato a sei marce, con levette al volante, snocciola rapporti interrompendo il flusso di potenza alle ruote per istanti infimi, ma a colpire di più è la sua brutalità. Sia in accelerazione che -soprattutto- in scalata, quando ti rifila dei veri e propri calci. Delle botte così forti e dalla durata così breve che solo grazie a quelle cinture con cui prima nei box ti hanno letteralmente saldato al telaio non si trasformano in una insostenibile tortura.
Dopo la violentissima staccata della prima variante, che già uscendo dalla pitlane basta da sola a farti capire i livelli di decelerazione generati da quest’impianto frenante, in più di un punto del tracciato hai modo di apprezzare il ruolo insostituibile di queste cinture così severamente contenitive. Le due di Lesmo, la velocissima, terrificante Ascari, ma soprattutto la Biassono e la Parabolica, ti farebbero rotolare da una parte all’altra del piccolo abitacolo se tu non fossi veramente parte integrante del mezzo.
L’aderenza generata da un treno di gomme slick, a maggior ragione su un mezzo capace di una deportanza così disarmante, è un effetto difficile da spiegare. Si tratta di qualcosa di squisitamente fisico, sorprendentemente percepibile: è come se, pur volendo spingere a cercare un limite fisico, un sottosterzo impossibile, ci fosse qualcosa di “appiccicoso” a impedirtelo, a mantenere un equilibrio dinamico superiore. E quasi a imporre una guida sempre efficace, redditizia, pura, cristallina.
Tornati ai box, sgusciati fuori dall’abitacolo, con l’adrenalina in ogni singolo millimetro cubo del corpo, la parte più dolorosa della giornata è stata impedire al ricordo di quei giri dannatamente brevi di fuggire via.
NOTA #1: sul nostro canale YouTube è disponibile il secondo camera car girato da noi lo scorso 14 marzo. Protagoniste la Radical SR3 e Roger Green di evo uk.
NOTA #2: sul sito ufficiale della casa inglese sono disponibili tutte le informazioni dettagliate sui modelli in gamma.