Tesla: bruciati in Borsa più di 234 miliardi di dollari
In quattro settimane, la fase al ribasso del titolo Tesla a Wall Street sta costando carissima all’azienda fondata da Elon Musk: e c’è già chi parla di “bolla sgonfiata”.
C’è un “affaire” Tesla a Wall Street? L’improvviso ribasso dei titoli della factory californiana, che va avanti dallo scorso febbraio, è altrettanto clamoroso del “boost” (verificatosi fra metà novembre e l’inizio di gennaio 2021, giusto mentre Tesla entrava nell’indice Standard & Poor’s 500) nel quale le azioni Tesla erano più che raddoppiate (il valore era salito da 400 a 900 dollari, per poi ridiscendere nelle ultime settimane). Cifre alla mano, in un mese l’azienda fondata da Elon Musk ha lasciato sul tappeto un totale di 234 miliardi di dollari.
Secondo un’analisi del Corriere della Sera che indica il parere di vari analisti, la notevole rivalutazione di Tesla sarebbe già stata “eccessiva” per un’azienda che fa sì parte integrante del comparto hi-tech legato alla nuova generazione dell’auto elettrica, tuttavia possiede una dimensione piuttosto “di nicchia”, e per di più soltanto nel 2020 è riuscita a mettere a segno un bilancio in attivo (lo scorso anno, su un fatturato complessivo di 31,5 miliardi di dollari Tesla ha fatto registrare un utile di 721 milioni di dollari).
Il 5 marzo la chiusura più bassa del 2021
Per restare nella cronologia del più recente andamento del titolo Tesla a Wall Street, è interessante osservare come venerdì 5 marzo le azioni hanno raggiunto un valore minimo di 540,94 dollari ed un -13%; sono poi risalite leggermente, e alla chiusura delle contrattazioni hanno ufficializzato un valore di 597,95 dollari (ovvero -3,78%), corrispondente a 574 dollari di capitalizzazione. In altri termini, spiegano gli analisti, la chiusura più bassa in questo primo scorcio di 2021; dove pure, come si accennava in apertura, si è verificato il valore più alto mai raggiunto (appunto 900 dollari).
Quali motivazioni alla base
Come interpretare, dunque, le motivazioni che potrebbero essere alla base della brusca diminuzione del valore di Tesla in Borsa, e che si protrae da quattro settimane? Le cause possono essere molteplici, come molto spesso avviene. Un asset debole, in linea generale, che riguarda i titoli legati al comparto tecnologico; ma anche – va detto – una sempre maggiore competitività per il settore dell’auto elettrica, guidato in maniera via via più concreta dalle strategie di sviluppo in chiave “zero emission” adottate dai big player automotive (maxi programmi che complessivamente mettono sul piatto investimenti per centinaia di miliardi) fra le due sponde dell’oceano e dall’oriente, che potrebbe mettere Tesla in una scomoda posizione di difesa del proprio primato hi-tech nei confronti dei competitor; “last but not least”, osserva il “Corriere”, una combinazione di vendite volta alla realizzazione di rapidi guadagni.
In crisi dalla “concorrenza spietata”?
In estrema sintesi: per diverso tempo “battistrada” nell’evoluzione della e-mobility, Tesla si vedrebbe in questa delicata fase messa in pericolo dalla “controffensiva” che gli altri grandi Gruppi stanno concretizzando in favore di una nuova mobilità contrassegnata dall’elevata elettrificazione, da molte parti accelerata con l’obiettivo di farsi trovare pronti anche prima rispetto a quanto annunciato in precedenza, e questo per motivazioni di carattere politico.
Potrebbe pesare anche lo stop alla produzione di Model 3
Ad aggiungere ulteriore incertezza, c’è l’interruzione di una delle linee di assemblaggio di Tesla Model 3 (vettura bestseller 2020 fra le auto elettriche, e che ha contribuito in massima parte al superamento del mezzo milione di autoveicoli prodotti lo scorso anno, volume nettamente superiore rispetto alle 367.500 unità registrate nel 2019), adottata lo scorso 22 febbraio nello stabilimento californiano di Fremont, a causa di alcuni problemi nella fornitura di componenti essenziali. Da Elon Musk era stata avanzata una spiegazione, un po’ generica in merito, nella quale si indicava che sarebbero stati individuati dei problemi nella fornitura di parti; il momentaneo stop alla produzione (che dovrebbe essere già stata ripresa) avrebbe in ogni caso costituito un’occasione per realizzare alcuni aggiornamenti e manutenzione alle attrezzature di Fremont. Da più parti venne ipotizzato che all’origine del temporaneo “fermo” ci sia stata la penuria di chip che da tempo riguarda molte delle principali Case produttrici: da Ford a General Motors, da Toyota a Nissan, Honda, Mazda e alcuni dei “brand” che fanno capo a Stellantis, tutti costretti a diminuire i rispettivi quantitativi di produzione per attendere che gli essenziali componenti elettronici di bordo siano pronti.