Aumenti metano: se si ferma la produzione di AdBlue i diesel non possono circolare
Il “caro energia” sta provocando un pericoloso effetto domino, oltre ai consumatori, anche la filiera industriale ne fa le spese: il caso emblematico dei produttori dell’additivo che riduce gli ossidi di azoto negli autoveicoli a gasolio.
Non bastavano l’aumento incontrollato del prezzo dei carburanti che da settimane tiene banco fra l’opinione pubblica (ma di questo il Governo sembra non tenerne conto), e la batosta che potrebbe cadere sulla testa di milioni di consumatori una volta che il disegno di legge sulla “delega fiscale” venga approvata dall’esecutivo.
Ad aggiungere ulteriore incertezza, arriva una notizia che riguarda l’indotto – uno dei settori che completano la filiera automotive che, è bene ricordarlo, incide per circa il 10% sul PIL nazionale -, e nella fattispecie un settore industriale che, incidentalmente, è collegato in maniera diretta proprio alle tecnologie di abbattimento delle emissioni nocive. Si tratta della produzione di AdBlue: l’additivo fondamentale per la riduzione dell’ossido di azoto negli autoveicoli Euro 5 ed Euro 6. Ebbene: per colpa dei continui rincari del gas metano, che ha raggiunto livelli mai conosciuti in precedenza (fino a 2 euro al metro cubo), non sono solamente gli automobilisti a doverne sopportare le conseguenze, ma anche i produttori di AdBlue.
Interrompere la produzione a causa dei costi
In un servizio pubblicato dal quotidiano La Nuova Ferrara che riporta l’emblematico caso di Yara Italia, azienda chimica di Ferrara che produce circa il 60% del fabbisogno di AdBlue, emerge un fatto drammatico: a causa dell’escalation del prezzo del metano, l’azienda si è trovata costretta a dover interrompere per un mese la produzione di AdBlue. Il gas naturale, va ricordato, viene utilizzato nei processi produttivi dell’additivo.
Se il costo del metano aumenta, ecco emergere problemi analoghi a quelli che – a titolo di paragone – stanno affrontando le Case costruttrici di autoveicoli per la “famosa” questione della carenza dei chip. Un portavoce di Yara Italia ha dichiarato ai microfoni di Radio Rai che l’azienda preferisce aspettare un riassestamento del mercato, per evitare il rischio di dover produrre in perdita. Attenzione: il problema non è “esclusivo” di Yara Italia, ma riguarda tutti i produttori di ammoniaca che lavorano con il gas naturale.
Possibili ripercussioni anche sulla circolazione delle merci
Cosa potrebbe accadere, nell’immediato? È purtroppo facile da immaginare: essendo che i sistemi di alimentazione delle autovetture (ma anche, e soprattutto, dei mezzi pesanti, indispensabili per la circolazione delle merci) non possono funzionare correttamente senza AdBlue, c’è il serio rischio che vengano a verificarsi notevoli disagi. Una serie di problemi che, “a catena”, interesserebbe anche il traffico commerciale.
Senza AdBlue, l’Scr non funziona
Tecnicamente, in effetti, nel caso in cui l’AdBlue sia esaurito nel suo serbatoio, il riavviamento del veicolo non è possibile. Ciò in quanto la mancanza dell’additivo fa sì che l’Scr (il dispositivo di riduzione catalitica selettiva) non funzioni “tout court” (a meno di manomettere la centralina, ma si scivola nell0’illegalità dunque non è proprio il caso di parlarne). Ne consegue che il veicolo si trova a non rispettare più le normative anti-inquinamento.
Cifre alla mano, infatti, un’autovettura turbodiesel impiega in media il 5% circa di AdBlue in rapporto al consumo di gasolio (un “pieno” di additivo ha dunque una durata che oscilla fra 10.000 e 15.000 km); sui mezzi pesanti (Truck & Bus), tuttavia, il rifornimento di AdBlue deve avvenire con maggiore frequenza (in quanto si arriva anche all’8% e oltre rispetto al consumo di gasolio).
Ed è da tenere conto, come se tutto ciò non bastasse, che i timori legati allo stop della produzione di AdBlue interessano anche altri settori industriali oltre al comparto automotive: ci si riferisce, ad esempio, alle cementifere, ai termovalorizzatori, alle centrali elettriche. Numerosi produttori di additivi in Europa hanno già fermato la produzione, laddove in Italia il grosso del fabbisogno è stato preso in carico da Yara Italia.
Importare nuove forniture dall’estero è un’ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione, a causa di ovvie difficoltà logistiche ma anche di quantitativi di prodotto che sarebbero necessari a soddisfare le esigenze nazionali. L’unica soluzione, auspicata dai vertici dell’azienda ferrarese, è un rapido intervento da parte del Governo, analogo a quanto adottato nel Regno Unito.
Aumento dei carburanti: la maxi stangata
Alle difficoltà dell’industria si aggiungono altre incertezze. Che (ma guarda un po’?) interessano direttamente il portafoglio dei consumatori. Che poi sono quelli che devono pagare le tasse, i balzelli, le accise che gravano su un bene come l’autoveicolo che sembra sempre più visto come il diavolo sul quale scatenare le ire del mondo. Si tratta della continua corsa ai rincari per i carburanti, vero e proprio leit motiv di un “autunno caldo” che si spera finisca al più presto.
Come rivela l’Unione Nazionale Consumatori, il prezzo di un pieno da 50 litri di benzina è aumentato, dall’inizio 2021 alla prima decade di ottobre, di oltre 13 euro, mentre un pieno di gasolio costa in media 12 euro in più.
Il grido d’allarme di Codacons e Unione Nazionale Consumatori
Allo stato attuale, indica Carlo Rienzi, presidente del Codacons, “Benzina e gasolio costano rispettivamente il 23,4% e il 24,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Un rincaro che si ripercuote non solo sui costi di rifornimento ai distributori, ma sui listini al dettaglio di una moltitudine di prodotti che risentono del rialzo dei carburanti”.
Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, precisa che un rifornimento di 50 litri ha subito, nell’arco di dodici mesi (ottobre 2020-ottobre 2021) un’impennata di oltre 16 euro (benzina) e più di 15 euro (gasolio), il che “Equivale, su base annua, ad una stangata da 389 euro all’anno per la benzina e 367 euro per il gasolio”.
Urge tagliare le accise!
L’appello al Governo è univoco: bisogna che l’esecutivo intervenga a livello fiscale. In altre parole: le accise sui carburanti (che nel caso della benzina arrivano ad incidere per quasi il 61%) vanno ridotte. “In Italia, l’85% della merce trasportata viaggia su gomma, e i costi di trasporto incidono sui prezzi finali praticati ai consumatori – prosegue Carlo Rienzi di Codacons – Per tale motivo rivolgiamo oggi un appello al Premier Draghi affinché, dopo le bollette di luce e gas, intervenga anche su benzina e gasolio, tagliando le accise anacronistiche che ancora oggi gravano sui carburanti e riducendo l’IVA. Senza un intervento del Governo, si registrerà una fiammata dei prezzi al dettaglio con conseguenze negative sul tasso di inflazione e sui consumi delle famiglie”. Un grido d’allarme confermato dalla stessa Unione Nazionale Consumatori.