Cop26: perché lo stop ai motori termici entro il 2040 non convince tutti i costruttori
Le prime indiscrezioni trapelate dalla “giornata dei trasporti” al vertice di Glasgow indicano che molti Gruppi e numerosi Paesi non aderiscono all’impegno non vincolante.
Sono solamente sei i Costruttori auto che hanno firmato il programma che prevede lo stop alla produzione di veicoli ad alimentazione endotermica entro il 2040 in fase di presentazione alla Conferenza dei Trasporti al Cop26 di Glasgow. Un agreement, non vincolante, da organizzare fra Stati e Costruttori, che peraltro non è stato sottoscritto nemmeno da tutti i rappresentanti dei Governi nazionali (a cominciare da USA e Cina, le due superpotenze mondiali; e non è presente neanche l’Italia). Ma andiamo con ordine.
I grandi numeri
La “giornata dedicata alla mobilità” inserita nel vertice di Glasgow sul clima era particolarmente attesa: sul tavolo ci sono, in effetti, le analisi e le prospettive del futuro dei trasporti, che – indica una stima Reuters – muove nella sua globalità un monte-investimenti complessivo nell’ordine di 515 miliardi di dollari (cioè più di 445 miliardi di euro) per lo sviluppo della e-mobility (produzione di veicoli elettrici e batterie).
Chi non ha firmato
Alcune indiscrezioni rese note dal Financial Times indicano che a non avere aderito all’impegno del “ban” entro il 2040 (data massima) alla produzione di auto benzina e diesel sono alcuni dei principali big player a livello mondiale: da Toyota a Volkswagen, da Bmw a Honda, fino a Renault, Nissan, Hyundai Group e Stellantis. Come dire: grandi nomi che peraltro sono da tempo impegnati, e con notevolissimi sforzi finanziari e strategici, nella transizione verso la mobilità “zero emission”. A quanto pare, ci sono notevoli perplessità in merito all’accoglimento degli accordi.
Chi ha firmato
Nell’attuale fase di esame, ad avere siglato il documento sono undici Costruttori, che riportiamo di seguito:
- Avera Electric vehicles;
- Byd;
- Etrio Automobiles Private Limited;
- Ford Motor Company;
- Gayam Motor;
- General Motors;
- Jaguar Land Rover;
- Mercedes-Benz;
- Mobi;
- Quantum Motors;
- Volvo Cars.
La linea-guida dell’accordo prevede un impegno a far sì che entro il 2040 (e con cinque anni di anticipo: si andrebbe cioè al 2035) tutte le vendite di nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri siano a zero emissioni. Una dichiarazione di intenti sottoscritta da 24 Paesi e 39 amministrazioni locali (Bologna, Firenze e Roma per l’Italia; e, all’estero, alcune delle principali metropoli mondiali come New York, Los Angeles e San Francisco, Seattle ed Atlanta, Buenos Aires e San Paolo), oltre a tredici grandi gruppi finanziari e ventotto aziende e società di gestione flotte, di servizi e facility di energia (su tutti: LeasePlan ed Uber, E.On, Abb, Siemens, Unilever e Iberdrola). Relativamente alle rappresentanze di Governo, la firma è stata posta – per segnalare i principali Paesi – da Austria, Canada, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Polonia, Regno Unito. Mancano, come si accennava più sopra, Italia, Cina, USA e Germania, oltre a Giappone, Repubblica Ceca, Slovacchia e Spagna.
Molti dubbi
Ogni realtà, spiega il Financial Times in una propria analisi, possiede delle proprie ragioni per avere sollevato delle obiezioni alle trattative. I Costruttori, nello specifico, non sono contrari ad un percorso di graduale eliminazione delle emissioni di CO2 allo scarico; tuttavia, ad esempio, Volkswagen avrebbe indicato l’opportunità di rispettare le singole esigenze dei Paesi ed avrebbe posto l’accento sul “no” della Cina agli accordi sullo stop all’impiego del carbone per la produzione energetica. Ed è altresì da tenere conto che la Germania spinge anche sullo sviluppo dei carburanti sintetici. Toyota, dal canto suo, indica che l’affermazione della mobilità elettrica richiederebbe tempi più lunghi in alcuni Paesi, come Africa ed America latina. Su una lunghezza d’onda simile si sarebbe espressa Bmw, poco convinta dell’effettivo rispetto dei tempi per l’abbandono definitivo dei motori a combustione.
Necessario un impegno politico parallelo
È chiaro, inoltre, che i dubbi sollevati dalle Case costruttrici siano stati resi più efficaci dalla mancata firma da parte di numerosi Governi nazionali: le indiscrezioni “captate” da Glasgow parlano di un diffuso scetticismo in merito al complesso avvio di un definitivo percorso di evoluzione tecnologica senza che a livello politico ci sia un parallelo impegno alla garanzia di realizzare tutte le infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici (in particolar modo le stazioni fast charge e ultra-fast charge), condizioni essenziali per l’affermazione della e-mobility.