Auto elettriche, a rischio mezzo milione di posti di lavoro in Europa?
L’Associazione europea che rappresenta le aziende della componentistica lancia un (nuovo) allarme sulle conseguenze della transizione ecologica basata esclusivamente sulle auto a zero emissioni.
L’elettrificazione è uno degli elementi-chiave per raggiungere la necessaria riduzione delle emissioni di gas serra, tuttavia non è tutto oro quello che luccica. In pericolo c’è una notevole “fetta” occupazionale. Ovvero: la “spinta” delle istituzioni europee sulla mobilità elettrica può avere delle serie conseguenze a livello di posti di lavoro, soprattutto nel settore della produzione di sistemi di propulsione e nella supply chain. Ecco, in estrema sintesi, il contenuto di un “campanello d’allarme” (l’ultimo in ordine di tempo) da parte di CLEPA. L’Associazione che rappresenta le aziende di fornitura europee mette in evidenza, in uno studio di settore commissionato alla società di consulenza PwC, quali potrebbero essere le criticità derivanti da un approccio alla mobilità che si basi esclusivamente sui veicoli elettrici.
La legge dei grandi numeri
I dati, in questo senso, parlano chiaro: sebbene – ed è opportuno ribadirlo – l’analisi confermi il ruolo di primo piano dell’elettrificazione in un’ottica di riduzione e successivo azzeramento delle emissioni (come indica il piano europeo “Fit for 55”), una strategia che punti solamente sulla vendita di veicoli elettrici comporterebbe, a lungo termine, la perdita di mezzo milione di posti di lavoro nell’Unione Europea. Un gap che, rileva il rapporto CLEPA, non troverebbe adeguata compensazione nello sviluppo di una pur adeguata rete di produzione di batterie per l’alimentazione dei veicoli elettrici: in tutta Europa si prevedono, per questo obiettivo, circa 226.000 nuove posizioni se si contano anche gli addetti all’assemblaggio di sistemi di propulsione, mentre al 2040 potrebbe verificarsi un saldo negativo di 275.000 posti di lavoro.
Che fine faranno tutti gli addetti alla produzione di componenti di motori endotermici?
Di più, ed eccoci al rischio relativo alla perdita di mezzo milione di lavoratori dell’indotto: nel caso che – osserva CLEPA – si arrivi all’approvazione della proposta avanzata dalla Commissione Europea di vietare entro il 2035 le vendite di autovetture a motore endotermico nei Paesi UE (secondo, appunto, il programma “Fit for 55”), si giungerebbe a rendere “obsolete” le posizioni di ben 501.000 addetti alla produzione di parti e componenti dei gruppi propulsori endotermici. Ed è da notare, osserva l’analisi, che quasi 360.000 di questi andranno con tutta probabilità persi fra il 2030 ed il 2035, cioè nel periodo di tempo che precederebbe il “bando” definitivo alla vendita in Europa di nuove auto a benzina e diesel, ma anche mild-hybrid e full-hybrid, nonché a metano e GPL.
Serve una strategia ben più ampia
Per converso, indica l’Associazione europea che rappresenta le aziende della filiera automotive, una strategia tecnologica che contempli anche lo sviluppo dell’idrogeno per l’alimentazione delle auto a zero emissioni e l’impiego dei combustibili sintetici, inciderebbe in maniera positiva sugli obiettivi climatici dal momento che ridurrebbe del 50% le emissioni di CO2, e nello stesso tempo salvaguarderebbe l’attuale numero di addetti.
Criteri più ampi per la determinazione delle emissioni dei veicoli
Per come sono state rese note, indica CLEPA, le proposte della Commissione Europea considerano solamente le emissioni allo scarico dei veicoli, mentre è altrettanto importante tenere conto anche delle emissioni provocate dai processi di produzione, dal tipo di combustibili impiegati e dalle fonti di approvvigionamento dell’energia. In effetti, la determinazione di “quanto” un veicolo emette dovrebbe in teoria derivare da molteplici fattori (compresi quelli qui elencati), secondo un approccio che riguardi l’intero ciclo di vita del veicolo e che come primo passo tenga conto del criterio “Well to Wheel” (dal pozzo alla ruota, cioè dalle fasi di produzione e di distribuzione del carburante, o dell’energia elettrica, che servono per l’alimentazione del veicolo stesso). In questo senso, CLEPA suggerisce di provvedere ad “Un sistema che permetta a ciascuna Casa costruttrice di poter ottenere ‘crediti volontari’, attraverso un maggiore impiego di combustibili rinnovabili, per soddisfare gli obiettivi di soglia delle emissioni di CO2 emesse dalla media dei modelli di sua produzione”.
Un approccio più “aperto”
In buona sostanza, CLEPA sostiene un approccio diversificato nelle tecnologie di alimentazione dei veicoli di nuova generazione: un processo di “Transizione ponderata”, vale a dire adeguatamente pianificata, che dia modo ai Costruttori (e, contestualmente, a tutte le aziende che operano nella filiera automotive) di vedersi garantito un equo lasso di tempo per fronteggiare la transizione elettrificata, e nello stesso tempo con la necessaria attenzione – altrettanto fondamentale – a “Fronteggiare l’eventuale malessere sociale che potrebbe verificarsi, come spesso è avvenuto, quando si sono verificati dei mutamenti improvvisi”. Per accompagnare in maniera virtuosa lo sviluppo tecnologico del settore automotive, CLEPA propone un approccio “Pianificato e attento alla creazione di valore per l’industria dell’auto che in Europa è uno dei comparti principali, secondo un criterio ‘misto’ che tenga aperte diverse possibilità utili all’adeguamento verso nuovi sviluppi, che possono manifestarsi come evoluzione hi-tech, disponibilità delle risorse e delle materie prime ed eventi geopolitici”.
A questo proposito, il segretario generale di CLEPA, Sigrid de Vries, sostiene che un programma di sviluppo “aperto” dovrebbe comprendere innanzitutto “Rapido sviluppo dell’elettrificazione attraverso fonti rinnovabili, e tecnologie di combustione pulita che impieghino carburanti sostenibili. In ordine all’impatto zero a livello di emissioni, occorre tenere conto del ruolo che i combustibili prodotti da fonti rinnovabili e sostenibili possono svolgere, e che può anche aiutare nel mantenimento della scelta per i clienti finali, nell’accessibilità a livello di costi industriali e di acquisto e nel mantenimento della competitività dell’Europa su scala globale”.