Transizione ecologica: il CITE mette al bando le auto a combustione dal 2035
Il Comitato Interministeriale ha definito la timeline di sostituzione dei veicoli a combustione interna: una “phase out” che riguarderà non solamente l’elettrico ma anche lo sviluppo dell’idrogeno e dei biocarburanti.
Il Governo italiano recepisce le linee-guida dell’Unione Europea in materia di sviluppo della mobilità sostenibile: dal 2035, avverrà la “phase-out” (letteralmente: graduale eliminazione) dei veicoli a combustione interna. Nella fattispecie, questa data riguarda le nuove autovetture, mentre per i furgoni – ed in senso più ampio tutti i veicoli commerciali leggeri – la deadline viene spostata di cinque anni (entro il 2040). Ecco, in estrema sintesi, quanto emerso dalla quarta riunione del CITE-Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica formato dal Ministero della Transizione Ecologica (con a capo Roberto Cingolani), delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (guidato da Enrico Giovannini) e dello Sviluppo Economico (Giancarlo Giorgetti), avvenuta nel pomeriggio di venerdì 10 dicembre.
Una formulazione di “new deal” all’insegna della massima sostenibilità nei mezzi di trasporto privati che dovrà tenere conto – e qui c’è il punto-chiave dell’accordo – non solamente dello sviluppo della e-mobility ma anche di altre forme di alimentazione green, come idrogeno e biocarburanti, per i quali il PNRR-Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha messo a disposizione un ingente plafond.
Ecco cosa dice la nota
Si ritiene opportuno pubblicare di seguito il testo integrale della nota stampa.
“In occasione della quarta riunione dei Cite, il Comitato interministeriale per la Transizione ecologica, i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani, delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini e dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, sono state definite le tempistiche di sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna, decidendo, in linea con la maggior parte dei paesi avanzati, che il phase out delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri entro il 2040.
In tale percorso occorre mettere in campo tutte le soluzioni funzionali alla decarbonizzazione dei trasporti in una logica di “neutralità tecnologica” valorizzando, pertanto, non solo i veicoli elettrici ma anche le potenzialità dell’idrogeno, nonché riconoscendo – per la transizione – il ruolo imprescindibile dei biocarburanti, in cui l’Italia sta costruendo una filiera domestica all’avanguardia.
Per quanto riguarda i costruttori di nicchia, misure specifiche potranno essere eventualmente valutate con la Commissione europea all’interno delle regole comunitarie”.
Spiegate le riserve alle indicazioni avanzate durante il Cop26
Un’indicazione che sostanzialmente ribalta il “no” dell’Italia all’accordo di programma fra Stati e Costruttori – che, è opportuno ricordarlo, era non vincolante – presentato esattamente un mese fa in occasione del Cop26 di Glasgow nell’ambito del maxi-pacchetto “Fit for 55”, nel quale si chiedeva un impegno a vendere veicoli esclusivamente “zero emission” nel 2035 (nei Paesi dal contesto socioeconomico più elevato) ed, al massimo, entro il 2040. Relativamente alle rappresentanze di Governo, come si ricorderà, la firma era stata posta, fra gli altri e solamente per citare gli Stati principali, da Austria, Canada, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Polonia, Regno Unito. Mancavano, oltre all’Italia, la Cina, gli USA, la Germania oltre a Giappone, Spagna, Repubblica Ceca e Slovacchia. Secondo alcune indiscrezioni “captate” da Glasgow, le principali riserve erano rivolte alle notevoli complessità di avviare un definitivo percorso di evoluzione tecnologica senza che a livello politico ci sia un parallelo impegno alla garanzia di realizzare tutte le infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici (in particolar modo le stazioni fast charge e ultra-fast charge), condizioni essenziali per l’affermazione della e-mobility.
Le motivazioni del “ripensamento” a livello istituzionale sono, appunto, riferite a quanto lo stesso ministro Giorgetti aveva puntualizzato, durante un question time all’indomani del meeting di Glasgow, ai taccuini del Corriere della Sera: l’addio ai motori a combustione, aveva osservato il ministro, dovrà essere “Tecnologicamente neutrale. La decarbonizzazione non deve passare solamente attraverso l’elettrico, occorre proseguire in ricerca e sviluppo di altre fonti combustibili non fossili, su cui le nostre aziende operano importanti investimenti”.
Ed ecco, dunque, spiegata quella che, secondo le indicazioni del CITE, può essere vista come una “naturale evoluzione” dei pareri raccolti a novembre. Spetterà successivamente all’esecutivo esaminare l’indicazione congiunta interministeriale, ed eventualmente stabilirne le modalità di attuazione. È molto probabile che quanto determinato dal CITE farà parlare di se, anche all’interno della stessa maggioranza di Governo.
Anfia: decisione poco chiara
I primi pareri non si sono tuttavia fatti attendere. Anfia (l’Associazione nazionale che rappresenta la filiera del comparto automotive) definisce a stretto giro di posta “Ambigua e poco chiara” la nota stampa diffusa dal CITE. Quanto indicato dal Comitato interministeriale, osserva Anfia, mette in allarme le aziende che compongono il tessuto automotive italiano, “E probabilmente anche tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un’accelerazione troppo ‘spinta’ verso l’elettrificazione, non essendo coerente con le posizioni espresse ancora poche ore prima da autorevoli esponenti del Governo”.
A rischio decine di migliaia di posti di lavoro?
Va considerato, aggiunge Anfia, che un recentissimo studio di settore pubblicato da CLEPA (Associazione europea della componentistica automotive) ha evidenziato quanti e quali potrebbero essere i danni, per l’occupazione e l’asset economico, “Che deriverebbero dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035 nei diversi Paesi manifatturieri a vocazione automotive”. Cifre alla mano, ricorda l’Associazione nazionale, “L’Italia rischia di perdere, al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030. Siamo di fronte a perdite che le nuove professionalità legate all’elettrificazione dei veicoli non basteranno a compensare”.
“Ripensateci”
Il Comitato Interministeriale, continua il comunicato di Anfia, “Se rispecchia nella realtà le posizioni del Governo italiano, non può non aver tenuto conto di questi impatti e, considerato il suo ruolo di organo di coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica, non può aver preso e comunicato alla stampa una decisione così forte senza aver contemporaneamente predisposto un “piano di politica industriale per la transizione del settore automotive”, operativo sin da oggi. La transizione produttiva di un settore chiave per l’economia dell’Italia non può essere fatta di annunci sulla stampa”. “A nome di tutte le imprese della filiera, degli imprenditori italiani e dei lavoratori del settore automotive, auspichiamo un ripensamento, o comunque un chiarimento, su quanto espresso nella nota di ieri e, soprattutto, chiediamo al Governo italiano di fare quello che i governi degli altri Paesi hanno già fatto: dare delle certezze alla filiera e definire al più presto la road map italiana per la transizione produttiva e della mobilità sostenibile.