F1, compagni di squadra: amore o odio?
La storia del Motorsport è piena di vicende – umane, umanissime – che raccontano episodi di convivenza più e meno felice (leggi: armoniosa) sotto lo stesso tetto: come avviene per tutte le coppie del mondo. Ecco due esempi, o meglio: due facce della stessa medaglia.
Armonia, stima reciproca, o piena e palese rivalità. Tre stati d’animo che si ritrovano tanto nella vita di tutti i giorni quanto dal punto di vista agonistico. Del resto, gli… ingredienti-base ci sono tutti: la convivenza sotto uno stesso tetto, il perseguimento di un obiettivo, ed il confronto fra diverse personalità. Ed ecco servito il piatto forte, condito dal fatto che nello sport il “gioco delle coppie” si basa su un antico proverbio secondo cui “Il compagno di squadra è il primo avversario”. Da qui la nascita di molteplici “storie a due” che hanno attraversato le epoche. Vicende che nel bene e nel male esprimono entrambi i lati di una stessa medaglia: il fatto che, cioè, al di là del puro agonismo ci si trova di fronte, l’uno rispetto all’altro, come esseri umani. Ciascuno con i propri punti di forza e le proprie debolezze. È questa differenza di carattere ad avere contribuito a scrivere pagine memorabili nella storia del Motorsport.
Per celebrare “a modo nostro” il giorno di San Valentino, abbiamo scelto due esempi per ricordarle: la Ferrari del Mondiale 1979, e la McLaren del 2007. Scheckter-Villeneuve da una parte, Alonso-Hamilton dall’altra.
1979: Jody e Gilles
Una “comunanza di intenti” improntata alla reciproca stima e fiducia rimasta negli annali del Motorsport ci porta alla stagione 1979, nella quale una Ferrari in grande spolvero diede vita ad una escalation di risultati che culminarono nella conquista del Mondiale Costruttori ed in quello Piloti nel caldo pomeriggio di inizio settembre, a Monza, con due gare di anticipo rispetto alla fine del Campionato. Più che sul titolo Costruttori, la memoria degli appassionati va in effetti all’ideale clima di squadra che permise a Jody Scheckter ed a Gilles Villeneuve di aggiudicarsi, rispettivamente, il titolo mondiale e la piazza d’onore.
Tutto fila liscio
Quella fra Jody e Gilles, compagni di squadra a Maranello anche nella stagione successiva (1980), decisamente più avara di risultati per via dell’attenzione che i tecnici del “Cavallino” (guidati da Mauro Forghieri) stavano assegnando sull’evoluzione Turbo in fase di sviluppo, è in effetti una storia di perfetta armonia tutta da raccontare. Coetanei (entrambi nati nel 1950, in Paesi peraltro non di primo piano nella scena sportiva automobilistica mondiale come il Canada ed il Sudafrica), si trovarono compagni di squadra, alla vigilia del 1979, accompagnati da un’immagine personale che molto potrebbe avere suggerito meno che una sincera stima reciproca.
Il pilota già maturo, pronto per il titolo mondiale
Scheckter, in effetti, era un pilota già maturo nella massima Formula, dove aveva debuttato alla fine del 1972 ed in cui, nei primi anni (trascorsi in McLaren prima, ed in Tyrrell poi) si era messo in luce come un autentico “enfant terrible”, decisamente aggressivo (un episodio su tutti: la carambola innescata al GP di Gran Bretagna 1973 a causa di un suo testacoda, che coinvolse diverse monoposto e fece terminare anzitempo la carriera agonistica ad Andrea De Adamich, rimasto seriamente ferito ad una caviglia), per poi “calmarsi” man mano che la sua esperienza in Formula 1 proseguiva, tanto da approdare in Ferrari con la nomea di pilota-calcolatore (alla Niki Lauda, per intenderci) che badava più al sodo – ovvero ai risultati – più che all’exploit di gara. Un “volante” che credeva fermamente in se stesso come un possibile candidato al titolo mondiale.
L’idolo dei tifosi per cui ogni gara è una vita a se stante
Villeneuve, dal canto suo, non ha certo bisogno di presentazioni, tante e tali sono le sue imprese delle quali si era già reso protagonista nel suo primo anno completo in Formula 1, dove aveva esordito nel 1977, al GP di Gran Bretagna, sulla ormai vecchia McLaren M23 dimostrandosi subito competitivo, salvo poi essere messo da parte da Teddy Mayer (all’epoca patron del team inglese Campione del mondo in carica) in favore di Patrick Tambay.
Chiamato a Maranello per diretto volere di Enzo Ferrari – che per informarsi della sua effettiva validità come pilota aveva persino chiesto un parere a Chris Amon -, Gilles debuttò sulla “Rosse” al GP del Canada (che terminò anzitempo tuttavia fu ugualmente classificato per avere completato almeno il 90% della gara), e si rese protagonista di un tragico incidente al GP del Giappone: la sua Ferrari 312 T3, letteralmente volata fuori pista a causa di una collisione con la Tyrrell P34/2 di Ronnie Peterson, piombò su alcuni spettatori, posizionati in zona vietata. Ciò provocò la morte di un commissario di gara ed un fotografo, ed il ferimento di altre dieci persone.
Amalgama vincente
Insomma: Jody “il ragioniere”, Gilles “l’aviatore”. Due personalità agli antipodi, che tuttavia non ebbero difficoltà a creare un’amalgama vincente, ciò che si definisce la migliore alchimia con l’obiettivo del massimo risultato. Forse anche questo – i due modi nettamente diversi di affrontare le corse – ad avere contribuito la costruzione di un’intesa, tra i due ferraristi, che risultò determinante per la cavalcata vittoriosa. Come spesso si dice, “Gli opposti si attraggono”, anche se viene da osservare che un ruolo importante, nel “mix” prestazionale in pista, arrivò dalla guida di Mauro Forghieri, che in sedici stagioni complete al timone della gestione tecnica Ferrari ne aveva davvero viste di ogni.
Una stagione memorabile
Del 1979, gli appassionati ricordano da sempre il duello ruota a ruota fra Gilles Villeneuve e René Arnoux – Ferrari “aspirata” (anzi: la massima evoluzione del progetto 312 T, giunto alla quinta stagione di gare), contro Renault Turbo – che si concluse con i due sul podio, al secondo e terzo posto, a scambiarsi sorrisi complici e strette di mano, felici come bambini per il gran regalo di spettacolo appena confezionato ad uso dei tifosi; mentre la vittoria di Jean Pierre Jabouille (che consegnò la F1 turbocompressa alla storia) passò in secondo piano. E ci si ricorda anche del giro su tre ruote, da parte dello stesso canadese, a Zandvoort. Dall’altro lato della barricata, in una posizione complementare, la pacatezza di un Jody Scheckter ben compreso nel suo ruolo di cacciatore di punti pesanti. Ma non è che Villeneuve non badasse alla classifica: al giro di boa della stagione, entrambi i ferraristi avevano due vittorie a testa ed una pole position ciascuno. Dunque: sulla carta erano entrambi in lizza per il colpaccio finale.
Monza 1979: una “doppietta” da antologia
L’episodio-chiave che racchiude un’annata storica, per i tifosi e in senso più ampio per il grande libro delle imprese sportive dal punto di vista umano, arrivò al “nostro” Gran Premio di casa: Monza, 9 settembre 1979. Nella caldissima (climaticamente e anche in senso agonistico) domenica padana, l’atto che sostanzialmente consegnò la corona iridata a Jody Scheckter: Gilles Villeneuve, da gran cavaliere e rispettoso della lealtà che sempre nei momenti-clou non dovrebbe mai mancare fra compagni di team, lasciò al sudafricano (da lui considerato come caposquadra) la volata vittoriosa, quanto bastava per assicurargli il titolo mondiale. Sostenne, al termine della “doppietta” monzese, che ci sarebbe stato tempo per arrivare un giorno a diventare Campione del mondo, e che in effetti tutto si era svolto secondo i piani, con Scheckter fasciato dall’alloro iridato.
Il ricordo di Jody
Purtroppo, viste con il senno di poi, le cose non sarebbero andate come previsto: la monoposto 1980 Ferrari 312 T5 era ormai obsoleta in confronto ad una concorrenza che guardava con sempre più attenzione all’era-Turbo (e in effetti anche a Maranello si stavano ponendo le basi per l’evoluzione sovralimentata), la stagione fu decisamente avara di soddisfazioni. Scheckter, ormai appagato dal titolo mondiale, si ritirò alla fine dell’anno; Villeneuve rimase, per fare coppia con Didier Pironi con il quale iniziò un nuovo capitolo. Fino a quell’8 maggio 1982, con i fatti di Zolder. Scheckter, che non aveva mai dimenticato il compagno di squadra (anche perché, nonostante egli non fosse più attivo in prima persona in Formula 1, aveva continuato con la sua famiglia a risiedere a Montecarlo, a poca distanza dal “clan Villeneuve”), scelse, dopo la scomparsa di Gilles, parole che la dicono lunga sulla stima e la considerazione che egli ebbe nei suoi confronti:
Gilles mi mancherà, e per due motivi. Primo: è stato il pilota più veloce nella storia delle corse automobilistiche. Secondo: è l’uomo più genuino che io abbia mai conosciuto.
2007: la lotta al calor bianco Alonso-Hamilton
Di ben altro tenore il rapporto che intercorse, durante tutto il 2007 ed in particolare nella seconda parte di stagione, tra Fernando Alonso e l’allora emergente Lewis Hamilton. Non che fra i due non ci fosse della stima: del resto, si tratta di piloti che competono per il medesimo obiettivo. Dunque: ognuno conosce il proprio grado di competitività, ed è perfettamente in grado di valutare la “forza” agonistica del proprio collega di team. È su questa figura di “alter ego” che ci si misura, che si valutano le proprie performance. Come avvenne nel 2007, ricordato non solamente per la “Spy Story” da romanzo giallo che da se meriterebbe un film (la sceneggiatura ci sarebbe già, peraltro: nessuna Casa produttrice si fa avanti?), e nemmeno esclusivamente per il titolo mondiale conquistato dal classico “terzo” che gode fra i due litiganti, ovvero Kimi Raikkonen. Quanto anche per il lungo duello che intercorse proprio fra questi due. Fernando Alonso e Lewis Hamilton: il campione già affermato (due corone iridate con Renault nelle due stagioni precedenti e la fama, consolidata nel tempo, di osso durissimo) ed il giovane con tanta, tanta voglia di dire la sua. I classici… due galletti nel pollaio che Ron Dennis si trovò a dover gestire.
Il giovane “arrembante” e lo spagnolo che vuole lo status di prima guida
Non che Hamilton fosse “sconosciuto”, tutt’altro: a ventidue anni di età, possedeva un palmarès di tutto rispetto: già sotto contratto McLaren a dodici anni dopo avere conquistato la vittoria nel Campionato Kart junior britannico, campione europeo di Kart Formula A nel 2000, vincitore del titolo in Formula Renault nel 2003 e, poi (2005) nella F3 Euro Series e (2006) in GP2 al volante della monoposto ART Grand Prix, fu protagonista nella prima parte della stagione 2007 di un invidiabile ruolino di marcia. Nove gare consecutive sul podio (fra cui due vittorie) e la leadership di classifica già a partire dal GP di Spagna.
Fernando Alonso, al giro di boa di stagione, aveva anch’egli due vittorie nel proprio carnet (Malesia e Monaco), tuttavia meno piazzamenti sul podio (tre secondi posti, un terzo, un quinto e due volte in settima posizione).
Al Nurburgring, il 22 luglio 2007, andò in scena la gara-spartiacque della stagione: il GP d’Europa, che si concluse con il ritiro di Lewis Hamilton e la vittoria di Fernando Alonso. Un “passo falso” per l’inglese, ed un riavvicinamento da parte del bicampione del mondo nei suoi confronti, già protagonisti di una lotta interna senza quartiere tuttavia fino a quel momento rimasta nei limiti della “umana rivalità”.
GP Ungheria 2007: quel pasticciaccio brutto ai box
La vicenda che sancì fra i due “volanti” McLaren uno status da “separati in casa” ebbe come palcoscenico l’Hungaroring, e una data: sabato 4 agosto 2007. Una pista che, per le sue caratteristiche, è favorevole alle monoposto MP4/22 motorizzate Mercedes che in effetti dettano legge fin da subito. Tradotto: la pole position sarà un “affaire” Alonso-Hamilton. I quali già si sopportano poco, più per questioni di competitività che altro. Dai box c’è, per entrambi, un ordine preciso riguardo alle rispettive posizioni di uscita dai box nella Q3. Di fatto, si tratta di un escamotage che dà a ciascuno dei due la possibilità di avere una carta in più per giocarsi il tempone del sabato e partire in prima posizione, cosa che ad Hamilton era capitata al GP di Gran Bretagna mentre ad Alonso era capitato in Germania, per quanto l’incidente dell’inglese aveva temporaneamente fatto saltare il “turn-over”.
Altro che armonia!
Secondo le direttive dei box, al GP d’Ungheria le strategie avrebbero premiato Alonso: una decisione che – per la conformazione del tracciato, simile a quello di Monaco che di fatto avvantaggia chi parte in pole position – Hamilton non sembra accettare a cuor leggero. Ebbene: al penultimo tentativo nelle qualifiche, uscendo dai box, Lewis sopravanza Fernando e gli si pone davanti, mandando il campione di Oviedo su tutte le furie. Alonso chiede immediatamente via radio che le rispettive posizioni siano ristabilite. Ma nemmeno Hamilton, prontamente informato, accetta (e nasce un acceso battibecco fra l’astro nascente e Ron Dennis). A pochi minuti dalla fine delle prove Alonso giunge per primo ai box per montare le gomme più morbide e mettere la parola fine al discorso sulla pole position che fino a quel momento sta premiando Hamilton. Sorpresissimo, lo spagnolo si accorge che i meccanici gli stanno montando un set di gomme più dure, e nello stesso tempo nota che Hamilton è anch’egli fermo per il cambio pneumatici.
Lo “sgambetto”
L’atto che sancisce il definitivo “divorzio” fra i due avviene in questo momento: la McLaren “numero 1” ferma in posizione, il pilota che – nonostante i ripetuti ordini di Ron Dennis di ripartire immediatamente – chiede imperterrito ai meccanici la motivazione delle gomme più dure a lui. Ad un minuto e quaranta secondi dalla bandiera a scacchi, Alonso riparte, pronto per riconquistare la pole. Di fatto, con questa decisione Alonso ha impedito ad Hamilton di avere il tempo sufficiente a farsi cambiare le gomme e poter tornare in pista prima del termine delle qualifiche.
Ciò che avviene dopo la conferenza stampa post-qualifiche fa anch’esso parte della storia: Hamilton, interrogato dai commissari sportivi, attacca il compagno di squadra ed anche il team accusandoli di averlo ostacolato. Ron Dennis, dal canto suo, difende lo spagnolo, impegnato in una discussione-fiume con gli stessi commissari. La decisione dice davvero male ad Alonso, penalizzato di cinque posizioni nella griglia di partenza. La corsa vedrà la vittoria di Hamilton, in testa dall’inizio alla fine, davanti alla Ferrari di Raikkonen ed alla Bmw-Sauber di Nick Heidfeld. Fernando, partito in sesta posizione, giunge quarto assoluto tuttavia con circa mezzo giro di distacco dal vincitore.
Ognuno per se…
Una rivalità al calor bianco che proseguì, nelle gare successive, con una sostanziale assenza di rapporti: una condizione che – senza nulla togliere alla competitività del finlandese – è chiaro che favorì il titolo mondiale di Kimi Raikkonen. Lo stesso Fernando Alonso ha poi avuto modo di ricordare quegli episodi in tempi recentissimi: a novembre 2021, alla vigilia del GP del Brasile, Fernando e Lewis si sono ritrovati gomito a gomito in conferenza stampa.
“Fummo mal gestiti”
“In quella stagione fummo entrambi gestiti nel modo sbagliato – ha commentato Alonso sulla “convivenza” con Hamilton nel 2007 – Parlo per me stesso, è chiaro che quando hai quattordici anni di più sei più maturo, vedi le cose in maniera diversa e più completa. In McLaren disponevamo di un pacchetto molto competitivo, tuttavia riuscimmo a perdere contro le Ferrari che erano sì veloci, ma non come noi. Conservo però dei bei ricordi di quella stagione, spero di poter tornare a quell’epoca e lottare nuovamente insieme per il titolo”.