Autoblog Top 10: le migliori 10 automobili della 24 Ore di Le Mans
Oggi parte la 24 Ore di Le Mans edizione numero 90. I funzionari dell’Automobile Club de l’Ouest – società che diede i natali alla corsa – hanno dunque pensato di stilare un’interessante classifica, scegliendo un’automobile per ciascuno dei 10 decenni trascorsi dalla prima edizione.
La 24 Ore di Le Mans prenderà il via oggi alle ore 15. E’ l’edizione del 90° compleanno, i cui protagonisti annunciati saranno Audi e Toyota: difficile accreditare un altro team per la vittoria assoluta e della categoria LMP1. Più incerta la situazione in LMP2. Fra le 24 vetture non c’è una vera e propria favorita, anche se le Aston Martin paiono decisamente più competitive rispetto alle Ferrari. Il 90° anniversario di una fra le corse più emozionati e faticose dell’intero panorama automobilistico mondiale ha spinto i funzionari dell’Automobile Club de l’Ouest a stilare una classifica con la migliore vettura per decennio. L’Automobile Club de l’Ouest è la più grande associazione motoristica francese ed istituì la 24 Ore di Le Mans.
Anni ’20: Bentley Speed Six
La Bentley Speed Six trasse origine dalla 6½ L ed utilizzava un motore sei cilindri in linea da 6.5 litri, con potenza variabile fra 180 e 200 CV. Era provvisto di quattro valvole per cilindro, di una doppia candela per cilindro e dell’albero a camme, tecnologie allora non certo convenzionali; da sottolineare anche il motore monoblocco e la testata in acciaio. La Bentley Speed Six non concluse la prima gara a cui partecipò, ma vinse le 24 Ore di Le Mans 1929 e 1930.
Fu soprannominata Blue Train Bentley, in seguito ad una goliardata del pilota Woolf Barnato. Quest’ultimo riteneva che il suo esemplare speciale (realizzato dall’ingegner Gurney Nutting) fosse più veloce del Blu Train che univa Cannes con Calais. Organizzò quindi una gara e la vinse.
Anni ’30: Alfa Romeo 8C
L’Alfa Romeo 8C vinse consecutivamente dal 1931 al 1934. Fu progettata da Vittorio Jano nel 1930 e nella sua versione inaugurale montava un otto cilindri in linea da 2.3 litri. Tazio Nuvolari la portò inoltre ad aggiudicarsi la Targa Florio del 1931 e del 1932 ed il Gran Premio d’Italia del 1931, corso a Monza. Nel 1931 fu poi derivata la versione 8C 2300 Le Mans, che vinse quattro edizioni di fila con gli equipaggi Howe-Birkin, Chinetti-Sommer, Nuvolari-Sommer e Chinetti-Etancelin.
Il suo motore 8 cilindri sviluppava 225 CV a 5.200 giri/minuto ed era abbinato ad una trasmissione manuale a quattro rapporti, elementi che garantivano una velocità massima di 230 km/h. Pesava 1.250 chili ed era lunga 5.000 millimetri e larga 1.700 mm. La 8C fu poi trasformata nelle versioni 8C 2600 del 1933, 8C 35 Type C del 1935 e nella sontuosa 8C 2900, quest’ultima spinta da un motore con cilindrata proprio di 2.9 litri. Un suo esemplare fu inoltre battuto all’asta per 4.072.000.
Anni ’40: Ferrari 166 MM
La Ferrari 166 MM vinse nel 1949 l’unica edizione corsa negli anni ’40, decennio scandito prima dalla II Guerra Mondiale e poi dalla ricostruzione post-bellica. La 166 MM fu introdotta nel 1948 e si aggiudicò dapprima le Mille Miglia del 1948 e 1949, vincendo in seguito anche la 24 Ore di Spa. Montava un dodici cilindri a V da 2.0 litri, evoluzione del precedente 1.5 destinato alla 125 ed accreditato di una potenza variabile fra 110 e 140 CV. Il corpo vettura era in alluminio.
Pesava 650 chili ed era lunga 3.607 millimetri, larga 1.524 millimetri ed alta appena 1.067 millimetri. Il cambio era manuale a 5 rapporti, mentre il serbatoio poteva contenere fino a 90 litri. Raggiungeva la velocità massima di 170 km/h. Il periodico statunitense Motor Trend Classic la selezionò quale sesta miglior Ferrari di sempre. Il noto collezionista James Glickenhaus ne possiede un esemplare, mentre la vettura numero 10 (delle 25 realizzate) fu battuta all’asta nel 2011 per 1.870.000 milioni di dollari.
Anni ’50: Jaguar D-Type
La Jaguar D-type vinse le edizioni del 1955, 1956 e 1957. Traeva origine dalla C-Type e venne profondamente modificata nel telaio, nel motore ed ovviamente nel corpo vettura, reso monoposto e poi configurato in stile barchetta. Il sei cilindri da 3.4 litri – poi trasformato in 3.8 litri – erogava qui 285 CV ed utilizzava tre carburatori doppio corpo Weber. La vettura inglese pesava 800 chili e raggiungeva la velocità massima di 270 km/h, coprendo lo 0-96 km/h in circa 7 secondi. Il cambio era manuale a 4 marce. Misurava 3.912 millimetri in lunghezza, 1.664 mm in larghezza ed 1.372 mm in altezza.
L’auto è ovviamente nota per il suo originale motivo aerodinamico, ripreso dal mondo aeronautico e caratterizzato dalla vistosa pinna stabilizzatrice. La D prevede inoltre una raffinatissima struttura centrale, antesignana delle moderne vasche in materiali compositi. All’anteriore è poi presente una struttura tubolare, destinata al motore, ai suoi accessori ed alle sospensioni. L’esemplare più costoso è passato di mano nel 2010 per 2.090.000 dollari.
Anni ’60: Ford GT40
La Ford GT40 risale al periodo compreso fra il 1964 ed il 1969 e si aggiudicò quattro edizioni della 24 di Le Mans, per di più consecutive (dal 1966 al 1969). Misurava 4.028 millimetri in lunghezza ed aveva un passo di 2.413 mm, è larga 1.778 mm ed alta 1.028 mm, ovvero 40 pollici: per tale ragione è denominata GT40. La massa era contenuta in appena 860 chili. Montava un V8 da 4.2 litri e 350 CV, valore che produceva un fantastico rapporto peso/potenza di 406 CV/tonnellata. Le prime tre edizioni della 24 Ore a cui partecipò non furono tuttavia trionfali: il corpo vettura generava portanza e l’auto non si dimostrò quindi veloce a sufficienza.
Venne riprogettata già dal 1965. Il V8 fu potenziato fino alla soglia dei 7 litri ed i tecnici ridisegnarono la carrozzeria in migliaia di sue componenti. Pochi mesi dopo un esemplare conquistò la 2000 km di Daytona. Era l’antipasto del trionfo. Nel 1966 tre esemplari occuparono i primi 3 gradini del podio alla corsa francese, terminando inoltre la gara con una velocità media superiore a 200 km/h. La berlinetta dell’Ovale Blu fu sottoposta ad alcune robuste modifiche e continuò a vincere, respingendo le offensive della temibile Ferrari 330 P4.
Anni ’70: Porsche 917K
La Porsche 917 fu introdotta nel 1969 e vinse gli appuntamenti del 1970 e 1971. Rappresentava un’evoluzione della 917, a cui venne cambiato l’andamento della sezione posteriore: i tecnici volevano infatti migliorarne la resa aerodinamica e renderla più stabile. Fu quindi disegnata una coda tronca ed ascendente, dall’andamento originale – seppur negativo nei confronti della penetrazione aerodinamica –, che garantiva benefici anche per il raffreddamento del motore. Questa particolare 917 divenne quindi la 917K, in virtù della sua Kurzheck (codacorta).
Venti delle 25 Porsche 917 prodotte inizialmente furono declinate in versione K, a cui seguirono poi altre 12 vetture. Il motore V12 da 4.5 litri fu potenziato e raggiunse i 580 CV, spalmati su appena 800 chili. La 917K generava quindi un rapporto peso/potenza di ben 725 CV/tonnellata. Era lunga 4.140 millimetri, larga 1.980 mm ed alta 920 mm. Il cambio era manuale a cinque marce e la velocità massima superiore a 340 km/h. Progettista del motore fu lo storico ingegnere Hans Mezger.
Anni ’80: Porsche 956
La Porsche 956 debuttò nel 1982 e vinse la 24 Ore di Le Mans nelle stagioni 1982, 1983, 1984 e 1985. Venne lanciata per sostituire l’altrettanto vincente 936, che il nuovo regolamento tecnico per le vetture “sport” aveva reso d’improvviso obsoleta. Utilizzava un motore biturbo da 2.6 litri, accreditato di ben 620 CV ad 8.200 giri/minuto e capace di operare fino ad 8.500 giri/minuto. Era lunga 4.800 millimetri e larga 2.000 mm, il suo corpo vettura era in fibra di carbonio e kevlar e per questo motivo la massa restava contenuta in appena 860 chili.
Raggiungeva la velocità massima di 350 km/h e montava una trasmissione manuale a 5 marce. Il suo telaio era infine monoscocca in alluminio. Si aggiudicò inoltre quattro edizioni del Campionato mondiale sportprototipi (1982, 1983, 1984 e 1985) e fu guidata da piloti storici, come Jacky Ickx, Derek Bell, Ayrton Senna e dallo sfortunato Stefan Bellof – perse la vita proprio al volante di una 956. Fu poi sostituita dalla 962, che a sua volta si aggiudicò la 24 Ore di Le Mans nelle edizioni 1986, 1987 e 1994 ed il Campionato mondiale sportprototipi negli anni 1985 e 1986.
Anni ’80: Mazda 787B e Peugeot 905
La Mazda 787B fu introdotta nel 1991 ed in quell’anno si aggiudicò la 24 Ore di Le Mans, prima vettura spinta da un motore rotativo di tipo wankel. L’unità è composta da quattro rotori in linea ed ognuno ha cilindrata unitaria di 654 cc, per un totale di 2.516 cc. Sviluppava 700 CV e 608 Nm, ma i tecnici dell’azienda giapponese ritenevano che il motore potesse raggiungere i 930 CV. Pesava 830 chili ed era lunga 4.782 millimetri, larga 1.994 mm ed alta 1.003 mm.
La Peugeot 905 risale invece al 1990 e trionfò nelle edizioni 1992 e 1993. Misurava 4.800 millimetri in lunghezza, 1.960 mm in larghezza ed era alta 1.040 mm, per una massa contenuta in appena 755 chili. A differenza della coeva Mazda 787B utilizzava un più tradizionale motore V10 da 3.5 litri, accreditato di 650 CV e capace di raggiungere i 12.500 giri/minuto. Il suo telaio era monoscocca in fibra di carbonio e le sospensioni di tipo push-rod, con barre anti-rollio regolabili.
Anni ’00: Audi R10 TDI
L’Audi R10 TDI debutta sul finire del 2005 e fu la prima automobile a gasolio ad aggiudicarsi la 24 Ore di Le Mans, dapprima nel 2006 e poi nel 2007. Nel 2005 l’azienda dei Quattro Anelli stava ancora pensando a come sostituire la R8 Sport. Sceglie quindi di correre il rischio e sviluppa un prototipo con motore diesel, anticipando Peugeot (che dichiarò in precedenza di essere pronta nel 2007). La R10 TDI monta quindi in V12 da 5.5 litri, abbinato ad un cambio sequenziale a 5 rapporti. La presenza di ‘sole’ 5 marce rappresentò un vantaggio per i piloti, costretti ad effettuare meno cambi marcia. Erogava una potenza massima di 650 CV ed una coppia di 1.100 Nm.
Pesava 925 chili e misurava 4.650 millimetri in lunghezza, 2.000 mm in larghezza ed 1.030 mm in altezza, mentre l’impianto frenante era già in materiali compositi ed i cerchi in lega misuravano 18 pollici. Il telaio era sviluppato con l’aiuto di Dallara ed era una monoscocca in fibra di carbonio, mentre il serbatoio conteneva 90 litri di carburante (quanto la vetture a benzina).
Anni ’10: Audi R18 e-Tron quattro
L’Audi R18 e-Tron quattro risale al 2012 ed è campionessa in carica. Ha raccolto lo scettro cedutole dalla meno raffinata R18 TDI, equipaggiata con il ‘semplice’ motore a gasolio V6 da 3.7 litri. La R18 e-Tron quattro dispone invece di una piattaforma ibrida, composta dal V6 TDI (510 CV) e da un motore elettrico posizionato all’anteriore. Il sistema quattro non collega però gli assi in modo meccanico, ma delega ciascun motore a fornire coppia sull’asse in cui è montato.
La sportiva dei Quattro Anelli può inoltre muoversi in modalità totalmente elettrica ed accumula energia in fase di frenata, liberandola poi attraverso un volano: il surplus di potenza è destinato all’asse anteriore ed entra in funzione quando l’auto supera i 120 km/h. La R18 e-Tron quattro è stata inoltre declinata in una versione priva di motore elettrico. E’ l’Audi R18 ultra, ovvero la LMP più compatta che Audi abbia mai realizzato.