Automobili a legna: quando negli anni ’40 e ’50 viaggiavamo grazie al faggio
Il razionamento dei carburanti imposto durante la Seconda Guerra Mondiale costrinse a contromosse decisamente fantasiose, come la scelta del legno per l’alimentazione delle automobili. Nel post raccontiamo la storia, l’evoluzione ed alcuni aneddoti su questa dimenticata soluzione.
Al tempo della Seconda Guerra Mondiale era pratica diffusa convertire la propria automobile per renderla ‘tollerante’ al legno. Proprio così. La carenza di materie prime obbligava infatti ad utilizzare espedienti ed operazioni fantasiose, come installare un anti-estetico ed ancor meno aerodinamico gasogeno sull’anteriore o sul posteriore della propria automobile. La diffusione di questo particolare tipo di alimentazione era particolarmente diffusa nel nostro paese – soprattutto sui mezzi pubblici –, in virtù dell’autarchia sui carburanti promossa dal governo fascista.
Il gasogeno era nient’altro che una caldaia. In essa andavano inseriti dei blocchetti di legno (il faggio era particolarmente adatto), che bruciando a fuoco lento producevano il gas necessario al motore. Quest’ultimo doveva però essere sottoposto ad alcune modifiche: era infatti necessario aumentare il rapporto di compressione, rimpiazzare il carburatore con uno specifico miscelatore, installare filtri per eliminare ceneri e vapore, modificare le candele ed aggiungere un aspiratore, necessario per portare il carburante al motore in fase d’avviamento. Un simile sistema di alimentazione presentava comunque varie criticità: su tutte le scarsa potenza e l’altrettanto insufficiente autonomia, ma anche la sfavorevole distribuzione dei pesi, la pericolosità e la notevole produzione di residui della combustione.
L’utilizzo del legname prevedeva comunque anche molteplici aspetti postivi. Innanzitutto la semplicità e l’accessibilità del carburante – privo inoltre di alcun trattamento chimico –, il minor utilizzo di energia per raccoglierlo o raffinarlo ed un più contenuto impatto sull’ambiente, in quanto la gassificazione del legno rappresenta un processo meno impattante rispetto alla sua bruciatura. La cenere e gli scarti possono inoltre essere utilizzati come fertilizzante, a fronte dell’ovvia preoccupazione legata al disboscamento ed all’utilizzo indiscriminato di materie naturali.
I primi mezzi di trasporto alimentati a legna risalgono agli anni 70 del 1800. Il sito Low Tech Magazine ci informa inoltre che l’ingegnere tedesco Georges Imbert fu il primo a svilupparne l’applicazione in campo automobilistico (siamo intorno al 1920). La sua piattaforma debuttò in serie nel 1931, e già da fine anni ’30 se ne contavano solo in Europa circa 9.000. L’inizio della Seconda Guerra Mondiale contribuì ad ampliarne la diffusione. Il razionamento dei carburanti tradizionali convinse circa 500.000 automobili ad utilizzare un gasometro, soluzione resa più invitante anche dalle circa 3.000 aree di rifornimento. Nel 1942 – prima cioè che la tecnologia raggiungesse il suo apice – si contavano circa 73.000 automobili a legna in Svezia, 65.000 in Francia, 10.000 in Danimarca, 9.000 in Austria e Norvegia ed 8.000 in Svizzera, mentre appena 2 anni dopo in Finlandia si contavano 30.000 fra bus e mezzi da lavoro.
Questa tecnologia si diffuse anche all’infuori dell’Europa – specialmente in Australia –, ma la sua popolarità restò limitata alla Seconda Guerra Mondiale: ad inizio anni ’50 nella Germania Ovest si contavano appena 20.000 automobili superstiti. Nel 2010 un automobilista olandese ne costruì per diletto un prototipo, su base Volvo 240. La berlina poteva viaggiare fino alla velocità massima di 120 km/h e mantenere i 110 km/h come velocità di crociera, riusciva a garantire un’autonomia di 100 chilometri e poteva contenere nell’apposito ‘serbatoio’ 30 chili di legno. L’autonomia massima aumentava fino a 400 chilometri stipando il divano posteriore di sacchi contenenti legno…