Alejandro de Tomaso a 10 anni dalla scomparsa
Dopo le fastose celebrazioni Lamborghini e Ferrari seguite dalla 36ma rievocazione della Mille Miglia sempre entusiasmante, qualcuno ha voglia di ricordare anche Alejandro De Tomaso?
Classe 1928, nato il 10 luglio a Buenos Aires nel segno del Cancro con ascendente Leone, compagno di scuola e amico di Ernesto Che Guevara, se n’è andato giusto dieci anni fa, il 21 maggio del 2003. Ero certo che non l’avrebbe fatto nessuno (almeno a quanto mi risulta ora) e per questo ho aspettato un giorno in più per farlo io, da amico e suo irriducibile ammiratore, più che da giornalista.
Eppure è stato un protagonista della storia dell’automobile di non scarso rilievo per oltre mezzo secolo e non solo con auto come la Pantera o la Mangusta che portavano il suo nome e che gli appassionati ricordano bene. Se non altro, nessuno può disconoscere che la Maserati esiste ancora e l’anno prossimo festeggerà i suoi primi 100 anni solo grazie a lui.
Ciò nonostante, perfino gli stessi manager che la guidano oggi evitano quasi sempre di citarlo e ricordare quei 18 anni, dal ’75, quando De Tomaso la rilevò attraverso la GEPI dal fallimento della gestione Citroen, al ’93 quando passò sotto il controllo della Fiat.
Già, gli anni con il 3 e il mese di maggio sono sempre stati fatali per De Tomaso come per la Maserati: la crisi della Citroen era iniziata in quel terribile 1973 (la grande crisi petrolifera), il 23 maggio del 75 è la data dell’affidamento Maserati a De Tomaso, il ’93 è l’anno in cui fu colpito dall’ictus e la Maserati passò alla Fiat, il 21 maggio del 2003 morì senza aver mai smesso di lavorare con la sua De Tomaso automobili. Era ricco ma i soldi gli interessavano soprattutto per far funzionare le aziende, perché la sua vita era quello. E poi, quando capitava di parlarne diceva con la sua costante ironia: Non voglio essere ricordato come il più ricco del cimitero.
Ricordo bene quel venerdi 23 maggio, il giorno del suo funerale a Modena, ultima testimonianza di ciò che Alejandro era stato: la chiesa era piena dei suoi ex operai e collaboratori ma non c’era nessun “notabile” neppure della città. C’era solo Luca di Montezemolo che in quel momento era anche il presidente della Maserati, Gianni Bulgari, uno dei pochi veri amici ed io. Mancava, ma solo a causa della distanza e degli impegni, Lee Iacocca (allora presidente delle Chrysler) uno dei suoi amici più fedeli. Sorrisi pensando che Alejandro non se ne sarebbe stupito affatto e ne avrebbe detta una delle sue.
E subito dopo mi tornò alla mente quel 14 dicembre del 1981, nel piazzale di Via Ciro Menotti sede della Maserati, giorno della presentazione della famosa Biturbo. Non ricordo una presentazione importante tanto disertata dalla stampa: a parte i cronisti locali c’erano solo due colleghi importanti, Athos Evangelisti per la “Gazzetta dello Sport” e Gino Rancati de “Il Giorno”, suoi amici da molto prima di me e io per “La Repubblica”. Tutti gli altri colleghi erano a Roma per un banale meeting prenatalizio della Renault…
Il fatto è che Alejadro non era un uomo dallo stile politically correct, diceva e soprattutto faceva quello che pensava e in cui credeva senza perdere tempo nei “salotti buoni” per guadagnare utili amicizie e benevolenze. In questo somigliava molto a Enrico Mattei, il presidente dell’Eni. Come lui viveva in albergo (Il suo Canalgrande) e come Mattei non andava mai in vacanza. Era solo più ironico. Gentile e scontroso, perfino arrogante in certe situazioni, eclettico e imprevedibile, audace e raffinato stratega, comunque geniale. Era un vero “car guy” come direbbero gli americani perché, come diceva lui stesso “i motori li ho sempre amati“, ma troppo “ingombrante” per stare nel Palazzo.
“Me ne hanno dette di tutti i colori. Che sono un pazzo, un mascalzone. Ma io sono qui con le cifre delle mie imprese. E sono tutte in attivo. Anche di quella Maserati che non voleva nessuno…” disse in una intervista “Mi pareva impossibile che la Maserati dovesse finire così, abbandonata da tutti, gettata via come una scarpa vecchia…“.
Del resto, anche il mio lungo rapporto di amicizia con Alejandro era cominciato proprio da questo. Gli avevo telefonato per proporgli un’intervista, ma lui era sospettoso ed esitò, poi mi chiese “Perché vuole vedermi, cosa vuole sapere?“. Gli dissi la verità: “E’ semplice, mi parlano tutti così male di lei che vorrei capire perché“. La risposta fu immediata: “Quando vuole venire?“.
Avevo subito molte pressioni, soprattutto dalla Bmw, perché non scrivessi bene della Biturbo contro la quale si era scatenata una battaglia furibonda al punto che alcune aziende di componentistica, minacciati dai concorrenti, rifiutarono le forniture alla Maserati e si diceva comunemente che “de Tomaso si fa finanziare dai clienti chiedendo un acconto di 3 milioni all’ordine (il 15% del prezzo)” come facevano tutti. Certo, una 2000 che grazie alla doppia sovralimentazione (formula che in seguito sarebbe diventata molto diffusa) offriva le prestazione di una 3500 ma pagava il bollo di una due litri, bella e ben finita con gli interni di Missoni, che costava 19,5 milioni soltanto, dava fastidio a quasi tutti i concorrenti. “Gente Motori”, rivista allora molto vicina all’importatore della Bmw Luigi Sodi, ne scrisse così male che De Tomaso fece causa, la vinse e non accettò il risarcimento in denaro: pretese e ottenne che il giornale lo ripagasse con altrettanti articoli onesti.
Era così, Alejandro, non temeva i giornalisti, attenti come sempre a non dispiacere le grandi case, i sindacati o i politici e per questo incuteva in pari tempo ammirazione e timore che spesso si trasformava in decisa avversione. Ma chi non era del “giro” ne restava sempre affascinato. Una volta Marcello Mastroianni, anche lui grande appassionato dell’automobile, voleva usare una Maserati per un suo film. Combinai una cena indimenticabile: si capirono al volo e parlarono di tutto per più di due ore quasi dimenticando gli altri commensali. Non ricordo perché non fu possibile usare l’auto che voleva Marcello per il film, ma furono entrambi felici di essersi conosciuti da vicino.
Me ne vengono in mente tante, troppo lunghe da raccontare perché sono tutte abbastanza complesse e fuori dal comune, di quelle che non si trovano su internet, o se si trovano sono in molti casi travisate. Come la stessa vicenda Maserati che in piena ascesa fu riunita in una unica società con la Innocenti anch’essa gestita da De Tomaso dal 1976. Non era stata una scelta di Alejandro, ma della Gepi (società statale Gestioni e Partecipazioni Industriali per il recupero di aziende fallite) sulla spinta di forti pressioni sindacali che non volevano neppure una partecipazione della Fiat come invece poi avvenne. Successe proprio mentre De Tomaso si preparava al riscatto definitivo dell’ultimo 32,76% della Maserati ancora nelle mani della Gepi. La fusione fu conclusa alla fine del 1989 e la società si chiamò “Nuova Maserati” ma si trattava di due realtà industriali del tutto sproporzionate e, com’era prevedibile, malgrado gli sforzi compiuti seguirono anni difficili che insieme alla malattia di De Tomaso portarono al definitivo intervento della Fiat.
Ma la storia non finisce qui. Neppure l’ictus che lo condannò a trascorrere gli ultimi dieci anni di vita su una sedia a rotelle assistito da una “interprete” a causa delle difficoltà di eloquio, riuscì a fermare il ritmo di una vita tanto battagliera e movimentata. Marco Berti, amministratore delegato della De Tomaso Automobili dal 1999 al 2004, gli fu accanto fino alla fine e lo ricorda così: “L’ho visto combattere giorno per giorno con i problemi di salute senza tuttavia smettere mai di lavorare con la forza e lo stile di sempre. E senza perdere quella sua straordinaria lungimiranza che gli aveva consentito di “scoprire” e collaborare con persone di grande talento come, fra gli altri, Gian Paolo Dallara e Frank Williams nei primi anni ‘70 in Formula 1 e in Formula 2. Senza dimenticare Giorgetto Giugiaro autore nel 66 della Mangusta“.
L’ultimo progetto, ancora una volta ambizioso, puntava non a caso alla Russia con la firma di un accordo con la UAZ del ben noto gruppo Severstal. “In Italia non erano ancora presenti fabbriche per fuoristrada” ricorda Marco Berti “e il progetto prevedeva la produzione di un nuovo modello di fuoristrada con motore Fiat Iveco common rail, il Simbir 4×4. Firmai io stesso l’accordo su incarico di De Tomaso, a Mosca il 3 aprile del 2002, alla presenza dei capi di governo Berlusconi e Putin e del Ministri delle Attività Produttive, Antonio Marzano e del Ministro dell’Economia della Federazione Russa German Gref. Fu scelta come luogo di produzione l’area industriale della Valle del Tacina di Cutro nel crotonese, mentre Modena sarebbe rimasto il centro per lo sviluppo della tecnologia. Fu l’ultimo successo di De Tomaso ormai logorato dal male e ne fu molto felice.
Ma il via libera da parte della Commissione Europea arrivò nel gennaio del 2005 quando gli eredi di De Tomaso avevano già deciso di non andare oltre e di vendere tutto. Solo nel 2009, però, si fecero avanti Gian Mario Rossignolo e il figlio Gian Luca poi arrestati nel 2012 per truffa ai danni dello Stato… Questa non se la meritava, povero Alejandro. Non sarà stato uno stinco di santo ma certo non ha sprecato la sua vita di “ragazzo dell’automobile“, l’unico riconoscimento di cui fosse davvero orgoglioso. E ora a voi, cari amici, per le critiche di rito.