Alan Mulally da Ford a Microsoft: la storia che fa discutere l’America
Un efficace slogan ben noto molti anni fa recitava: “C’è una Ford nel vostro futuro”. In questi giorni si potrebbe aggiornare trasformandolo nell’interrogativo del momento: “C’è davvero la Microsoft nel prossimo futuro di Alan Mulally?”.
Mentre in Italia ci dibattiamo tra crisi di governo o presunte tali, aumenti di iva e carburanti e rate imu, c’è un argomento che ha tenuto banco nelle scorse settimane sulla stampa americana e quella internazionale: Allan Mulally andrà a dirigere Microsoft? Una domanda non da poco che interessa ovviamente sia il mondo automotive sia il mondo della tecnologia.
Il cambio ai vertici riguarda da vicino gli azionisti dell’azienda di Redmond, come ovvio, dopo le dimissioni del CEO Steve Ballmer. Ed il tutto mentre infuria la rivolta degli stessi azionisti contro il presidente e fondatore Bill Gates, invitato apertamente a dimettersi. Naturalmente la cosa è ancora più importante per Ford, il cui CEO Alan Mulally avrebbe ricevuto una precisa offerta per sostituire Ballmer. In questo caso si tratterebbe, tuttavia, di una uscita anticipata solo di un anno rispetto ai programmi che prevedono il cambio della guardia alla guida dell’Ovale Blu non prima della fine del 2014. Il suo sostituto, Mark Fields ex capo di Ford Nord America e attualmente COO, è già in “addestramento” sulla rampa di lancio.
E allora? Cosa deciderà alla fine Mulally? “Amo lavorare per Ford e non ho niente di nuovo da aggiungere ai miei piani che continuare il mio lavoro in Ford” ha risposto al reporter di “Usa Today”, anche se questa potrebbe essere considerata una risposta interlocutoria come sempre avviene in circostanze simili.
Chi segue con passione le vicende dell’automobile tende a ignorare, di solito, quel che accade ai piani alti delle aziende ma credo che molti ormai sappiano chi è Mulally, da sette anni al volante della Ford, l’unica delle tre big di Detroit scampata al fallimento e ripartita, nel 2006, da una situazione non meno disastrosa delle sue consorelle, General Motors e Chrysler, scivolate drammaticamente nella procedura di “Chapter 11” (il fallimento, appunto) nel 2009.
Da quell’anno al 2012 Ford ha guadagnato 35,2 miliardi di dollari dopo aver perso nei tre anni precedenti oltre 30 miliardi. L’immagine e il prestigio dell’Ovale Blu, e soprattutto la stima dei consumatori, non ha mai perso smalto, al contrario ne ha guadagnato divenendo un’azienda più agile e soprattutto più profittevole confermando la validità della formula “One Ford” introdotta da Mulally anche a prezzo di molti sacrifici, come la cessione di Jaguar, Land Rover e Volvo fino all’estremo dell’ipoteca sul marchio.
La notizia, o meglio le indiscrezioni evidentemente di fonte Microsoft e subito energicamente smentite dallo stesso Mulally, girano ormai da oltre un mese innescando sempre più analisi e polemiche sulla possibile scelta della commissione della Microsoft nominata dal contestato Bill Gates per la ricerca del nuovo CEO.
Insomma un vero pasticcio per non dire di peggio, ben rappresentato dai titoli contraddittori di due prestigiose testate americane come Time che senza esitazioni definisce “Alan Mulally il giusto CEO per salvare Microsoft” a fronte della celebre rivista di economia e finanza Forbes che, al contrario, spiega perché “Alan Mulally sarebbe una terribile scelta come prossimo CEO di Microsoft”. I contrari, di fatto, sostengono che il CEO della Ford sarebbe stato scelto solo perché amico di Bill Gates e del dimissionario Ballmer, senza attribuire un particolare valore ai successi di Mulally nei suoi 37 anni alla Boeing e in quelli più recenti alla Ford, entrambi settori diversi da quello in cui opera Microsoft, senza contare i 69 anni di Alan per un ruolo che richiede visioni futuribili di lunga prospettiva.
Basterebbe questo, almeno per chi lo conosce, a rendere più credibile la ferma posizione negativa di Mulally che non considera ancora del tutto conclusa la sua “missione” in Ford e del suo celebre programma di risanamento “One Ford” con la realizzazione di una gamma di modelli “sicuri, connessi e accessibili” come quelli in produzione e ancor più per i 25 programmati per i prossimi cinque anni.
Resta ancora la fase 2 di quel piano, tutta dedicata all’ulteriore sviluppo delle componenti tecnologiche e informatiche dei suoi modelli, avviato fra l’altro con il Sync proprio in collaborazione con Microsoft. Un’azienda che Mulally definì come “una grande partner” in tempi non sospetti, con la quale deve essere nata un solida reciproca stima se in seguito il CEO Ballmer definì il suo nuovo programma “One Microsoft” in piena emulazione del collega capo di Ford.
Ma anche questo non può bastare per lasciare un’azienda in cui gode di una straordinaria popolarità e di una rapporto strettissimo con il padrone di casa Bill Ford, tanto che se decidesse davvero di andarsene non gli impedirebbe di farlo malgrado la scadenza successiva del contratto attuale. Non resterebbe allora che la lusinga di stipendi da favola come quelli che circolano alla Microsoft. Sarebbero un ottimo incentivo per chiunque, naturalmente, ma a 69 anni, con un passato come il suo e uno stipendio attuale mal contato nell’ordine di 20 milioni di dollari, per una persona come Mulally non è detto possa rappresentare un vero definitivo incentivo.
Alan ama davvero quello che fa e portare a termine i “suoi” progetti per chi gli ha dato la massima fiducia mentre nel 2006 i cronisti prevedevano un disastro non essendo lui un “car guy”, un uomo dell’automobile. E tutto questo potrebbe valere davvero di più, per quanto strano possa sembrare. Perché Mulally non è soltanto un brillante ingegnere e un manager di altissimo livello ma è anche un uomo dai poliedrici interessi, legato alla famiglia e ai sui cinque figli, che difficilmente rischia il declino quando avrà lasciato la Ford.
Non è un mistero che anche a Washington in quel della Casa Bianca sia molto stimato e che al momento opportuno qualcuno potrebbe chiedergli di dare una mano… all’azienda America. Qualcosa di più della Microsoft, insomma. Per questo sono pronto a scommettere, anche a rischio di perdere, che almeno per ora l’amico Alan resterà dov’è.