FCA: Fiat-Chrysler Automobiles, “The day after”. Commentiamo insieme quanto è successo.
Fiat-Chrysler Automobiles: “The day after”. Il nostro commento, insieme al vostro.
Nelle ultime 24 ore appena scadute mentre scrivo, dalla Conference Call internazionale dedicata al bilancio 2013 del nuovo gruppo che abbiamo seguito ieri in diretta, è tutto finito. Il conto economico con profitti e perdite valutato come il famoso mezzo bicchiere a seconda di come si vuole vederlo, l’attesa scelta della denominazione del nuovo gruppo, la conferma delle varie sedi sparse per il mondo secondo opportunità di “sistema”. Mancano solo i veri programmi, rinviati al cda di maggio. Due fasi inevitabilmente diverse perché è difficile se non impossibile elaborare un programma industriale senza conoscere con esattezza la struttura dell’azienda. Ed è proprio per questa determinante mancanza che il “giorno dopo”, un’operazione di ingegneria industrial-finanziaria senza precedenti non ha trovato nelle cronache internazionali il plauso che forse avrebbe meritato.
Il convitato di pietra
Un “forse” assolutamente d’obbligo poiché, malgrado tutto, la grande e spericolata fusione Torino-Detroit non è sufficiente a garantirne i risultati programmati. Le variabili sono molte, a partire dai capitali necessari per mettere in pista il nuovo gruppo aspirante a posizioni di rilievo nel mondo come nessuno dei due partners ha mai avuto in precedenza. Come dire, le basi ora ci sono, ma la gestione futura sarà ancora più importante con una premessa chiave: d’ora in poi non ci saranno più scuse o alibi per giustificare risultati insufficienti, gli annunci sul cosa, come e quanto si farà, non potranno più essere disattesi come spesso è avvenuto negli ultimi dieci anni. John Elkan ha detto che la Fiat “ha esperienza e competenza… pari alla concorrenza”. Nessuno, credo, lo mette in dubbio, se la stessa Fiat ha fornito per anni fior di manager e di tecnici alla concorrenza, ma ha dimenticato la “qualità” che la sua azienda, quando lui era ancora più giovane di oggi, ha spesso fatto mancare ai suoi prodotti. E, sempre Elkan, ha anche accennato agli errori del passato, soprattutto l’eccesiva diversificazione di attività a danno dell’auto, una politica che ha un nome, quello non citato di Cesare Romiti che convinse Gianni Agnelli a cacciare Vittorio Ghidella (per molti degli anni ’80 Fiat fece utili eccezionali) accusandolo di essere troppo “autocentrico”. Anche questo dovremo trovare nei piani che Marchionne ci annuncerà il primo maggio prossimo.
Uno dei perni del nuovo corso, ad esempio, è incentrato sulla area delle auto premium e sul vero definitivo rilancio dell’Alfa Romeo che Ghidella aveva appena iniziato e scomparso insieme a lui. Da inguaribile, nostalgico Alfista non chiedo di meglio, ma tutti ricordano le vecchie promesse di Sergio Marchionne sulle 300.000 Alfa (che su 39 mercati europei sono state appena 65.000 a fine 2013) e i 6 milioni di auto che Fiat e Chrysler avrebbero prodotto malgrado la fallita alleanza anche con General Motors tentata subito dopo il primo accordo con Chrysler. Acqua passata: la fusione è ormai completa e anche questo era apparso più volte improbabile. Ma ora non c’è più margine di manovra, tutto è pronto per il vero definitivo salto di qualità nel più esteso concetto del termine, ricordando che quello di ieri non è un punto d’arrivo ma un punto di partenza. Il futuro è oggi, tutto è appena cominciato. Il 29 gennaio 2014 potrà ora figurare come la seconda data di nascita della Fiat accanto a quella dell’11 luglio 1899. Dopo 115 anni (meno sei mesi) si è chiuso il primo lungo capitolo di una Storia Italiana perfettamente parallela a quella del Paese, da sempre piena di luci sfolgoranti e ombre sinistre, che resta comunque una delle più importanti della nostra storia industriale.
I commenti di ieri
Un evento e una Storia che, a mio parere, avrebbero meritato commenti e riflessioni meno scomposte di quelle che ho letto, purtroppo, anche da parte di alcuni nostri lettori ma non solo. Come quelli del “nostro” UGO321 (no comment!) fortunatamente bilanciate da BRAMANTINO ma anche da PIERVITTORIOH, da ELANSLH2, dall’acuto MRF (concordo sulla citazione di “Animal Farm”) e pure del caloroso e sempre puntuale agli appuntamenti dialettici GIANSERG. Mi scuso se non cito tutti i commenti logici e quindi accettabili per quanto taglienti, ma lasciatemi compatire XABARAS1 per la più banale quanto scontata allusione da caserma al nuovo nome del gruppo: FCA. Cos’altro avrebbe potuto essere volendo rispettare la tradizione e la storia dei due partners e, non meno importante, utilizzando il valore di mercato dei due brand? Non siete sempre tutti a caccia di “griffe”, non dite sempre che una Audi è una Audi e non una Volkswagen per quanto lo sia sotto il profilo della proprietà?
Vorrei ribadire, prima di andare oltre, che né io personalmente e neppure Autoblog, abbiamo mai fatto parte della schiera dei cortigiani plaudenti della Fiat e di nessun altro, e che, proprio per questo, cerchiamo di tener d’occhio i fatti e di guardarli con pari attenzione nel bene e nel male nei confronti di tutti, come richiede il nostro mestiere. Quanto al dottor Marchionne, l’ultima volta che gli rivolsi un paio di domande evidentemente non gradite, nel corso di una tavola rotonda a Detroit due anni fa, alla prima divagò, alla seconda rispose secco “ma lei ha dormito male questa notte?“. Non mi rimase che rassicurarlo, dubitando a mia volta del suo cattivo riposo. In seguito non gli diedi più occasioni, ascoltandolo ma astenendomi da inutili interventi com’è giusto fare con chi non accetta dialogo e critiche e soprattutto sembra palesemente non gradire gli incontri con la stampa “fuori controllo”.
I grandi manager non sono tutti uguali, come tutti gli uomini del resto. Ci sono, nel nostro mondo dell’auto, personaggi come Alan Mulally, il super salvatore della Ford cui chiunque avrebbe piacere almeno di stringere la mano, o Luca di Montezemolo capace di trasformare in applausi anche le più dure contestazioni, ma anche come Carlos Ghosn capo di Renault- Nissan, un duro che a volte sorride anche, compiaciuto del suo immenso potere, o Dieter Zetsche numero uno di Daimler rilassato e grande comunicatore ben diverso dalla maggior parte dei colleghi tedeschi. Sergio Marchionne è e vuole essere diverso, non ama i salotti buoni e se costretto non rinuncia al maglione per ricordarlo, non cerca popolarità personale ma risultati e successo nel suo lavoro. Sono uomini che devono riuscire a coniugare preparazione, capacità, spregiudicatezza e fortuna nelle giuste dosi per governare aziende sempre sotto quotate in Borsa a causa dei gradi rischi insiti nel loro business: basta un modello sbagliato o una strategia di marketing mal impostata e si perdono miliardi. A volte sull’altare, spesso nella polvere.
Chi è senza “alleanze” scagli la prima pietra…
So bene che gli appassionati dell’auto pensano e divorano solo il Prodotto Finale, soprattutto quello che non possono permettersi ed entrano in gara con progettisti e designers e che, infine, si indignano se ci permettiamo di parlare di politica e di economia dell’auto. Ebbene, coloro che si sono accaniti a dibattere con noi di Autoblog sulla Alfa spider-Mazda come un sogno da realizzare, forse ora capiranno che se vogliamo delle vere Alfa dobbiamo farle noi. Del contratto con la Mazda vedremo a maggio cosa farà Marchionne. E’ solo un esempio per proporre una revisione a molti concetti impropri derivati dalla nascita della FCA. Ho letto parole di indignazione per la “fuga” della Fiat dall’Italia. In questo ha ragione Marchionne, un’industria globale non ha una sede, ne ha tante, come tutti i costruttori più celebrati hanno. Peggio, se come nel caso di PSA ne hanno poche le cose non vanno benissimo. E in questo è compresa anche la dislocazione delle sedi legali, fiscali, finanziarie che altre marche hanno già in uso, come Renault la cui sede legale è anch’essa in Olanda. Ma nessuno in Francia, più nazionalista di noi, ha detto una parola.
Denominazioni, sedi operative e dintorni fanno parte delle tecniche operative di oggi, diverse da quelle in uso quando ci voleva il passaporto per andare a Mentone. Improvvisamente anche chi non vuol sentire parlare di economia ha deciso di potersi indignare su cose di cui non sa nulla e quindi non sa neppure valutare.
Qualcuno per caso, ricorda che poco più di 10 anni fa la Fiat era “clinicamente” fallita e se fosse stata in America sarebbe andata in “chapter 11” com’è accaduto alla General Motors e alla stessa Chrysler? Ci si chiedeva e si sperava che almeno ci fosse qualche acquirente per salvare almeno i posti di lavoro…
E’ stato il contrario, e una straordinaria serie di coincidenze, la situazione di Fiat, la presenza di un Marchionne italo-canadese al timone, l’avvento di Obama e il fallimento della Chrysler, hanno consentito una audace e perfino cinica gestione di una opportunità che non tutti avrebbero saputo cogliere. Se invece la Fiat fosse stata definitivamente comprata siete sicuri che sarebbe rimasto il “nome in ditta”. Insomma, UGO 321 dice che Marchionne “è un curatore fallimentare“. E’ forse l’unico concetto quasi giusto che abbia espresso. Ma lo sa chi è un curatore fallimentare? Uno che se possibile evita il fallimento definitivo. E non aggiungo altro.
Bmw comprò il fallito gruppo Rover con dentro la Mini, non aggiunse nulla al suo altezzoso nome, cedette Land Rover a Ford e rilanciò il brand Mini fabbricata comunque a Oxford. Oggi Land Rover appartiene alla Tata e splende di rinnovata grandezza, insieme a Jaguar acquisite dalla Ford. Renault, invece, ha fatto qualcosa di simile al nostro caso con la Nissan salvata da Carlos Ghosn e le due marche vivono nel mondo con i loro nomi con la formula dell’ “alleanza”. E’ successo e succede di tutto nel mondo dell’auto, diverso da quasi ogni altra attività. Alan Mulally, cedette i gioielli di famiglia acquisiti da Ford in tempi di ricchezza, anche Volvo dopo Jaguar e Land Rover e ipotecò perfino il marchio stesso, ma non c’erano critici ingenui a dirgli che “One Ford” era una politica sbagliata, perché in effetti non lo era anche se i risultati sarebbero arrivati poi.
E per chiudere, se non vi ho annoiato fin qui, vorrei ricordare che lo stesso Gianni Agnelli aveva detto più volte una trentina d’anni fa o poco meno che la Fiat avrebbe avuto bisogno di un partner americano, posso testimoniare personalmente.
C’era già stato un approccio proprio con Chrysler, poi la lunga trattativa con la Ford, fallita proprio perché la Fiat non avrebbe avuto un ruolo di spicco e di governo, poi la tentata vendita alla General Motors. Era destino. Un destino che tuttavia le circostanze e “l’odioso” Sergio Marchionne ha saputo ribaltare totalmente traghettando la Fiat nel secondo millennio una volta per tutte. Basta con i clamori e aspettiamo il nuovo corso: quattro mesi, dopo tanti anni, passano in fretta.