Auto China Pechino 2014: il Salone del “popolo”
Cosa distingue un salone dell’auto cinese rispetto a quelli occidentali? La cronaca di una giornata all’Auto China Beijing 2014.
Sarebbe riduttivo e banale chiudere la nostra esperienza al Salone di Pechino con un elenco di novità, citazioni e di numeri. Vorrebbe dire che “Auto China” è un salone esattamente come tutti gli altri. Certo, Ginevra non è Francoforte, così come Detroit non è Los Angeles, ognuno ha il proprio stile, il proprio “cavallo di battaglia”, i propri punti deboli.
Il Salone di Pechino è fin da subito un’esperienza particolare, oppure particolarmente faticosa, se preferite. Raggiungere l’area espositiva è una mezza impresa per chi alloggia in città. Gli automobilisti cinesi sono ancora “giovani”, e non credo che nessuno si offenda quando dico che guidano l’automobile come se fossero in bici. Non c’è ostacolo che possa essere scavalcato o evitato, ovviamente utilizzando il clacson. Ok, a questo punto immagino che stiate pensando alle abitudini di guida intorno alla vostra città: non preoccupatevi, rispetto a Beijing sarete sempre dei “dilettanti”. Se poi iniziate a considerare che il numero di vetture è proporzionale al numero di abitanti, allora potete ben capire che il traffico caotico diventa una costante.
Per arrivare al Salone si possono impiegare ore intere, con tanto di scene epiche, stile “L’ingorgo“, film del 1979 con Sordi, Mastroianni e Tognazzi. C’è chi scende dalle automobili per comprare uno snack ai baracchini lato strada, c’è chi abbandona la vettura per andare a piedi, anche se i chilometri mancanti sono almeno 5 o 6. C’è chi dorme e chi telefona, chi tenta di usare il computer e qualcuno, più furbo, offre improvvisati servizi bici-taxi per saltare la coda.
L’arrivo al Salone è non meno impressionante, con schiere di poliziotti e soldati che da noi vediamo solo in caso di sommossa, oppure per le partite di calcio. All’ingresso il nuovissimo badge dotato di chip Rfid non funziona, cosa che manda in crisi il personale nel dilemma se far entrare o meno i visitatori. In questi casi c’è solo una cosa da fare: armarsi di pazienza e sorridere. Perchè l’unica persona che ha abbiamo visto tentare di far valere le proprie ragioni è stata immediatamente circondata dalle forze dell’ordine.
All’interno, nulla è cambiato rispetto all’edizione di due anni fa. Un edificio completamente simmetrico ospita due ali di stand, senza alcuna attenzione tematica o di tempistica. Per fare un esempio, a fianco dello scintillante stand Ferrari ci sono i suv G. Patton, che assomigliano tra l’altro alle Lamborghini LM002. Il discorso di Wester allo stand Maserati viene praticamente cancellato da una voce cinese di sottofondo, che non si capisce da dove arrivi. La grandeur francese è superata solo dallo strapotere dei tedeschi, che con il gruppo VW occupano un padiglione a parte. Gli italiani sono rappresentati solo nel settore lusso mentre i cinesi, ovviamente fanno da padroni di casa in maniera un po’ rude, per la serie “i padroni siamo noi e facciamo quello che ci pare”. Da citare un certo senso di “Horror vacui” che pervade alcuni loro padiglioni, non tanto per l’orrore che suscitano alcune vetture, ma perchè lo stand viene usato come verrebbe usato un negozio di abbigliamento: riempiamolo tutto finchè c’è spazio. Confesso di non essere riuscito a vedere alcune automobili per intero, ma forse non mi sono perso nulla. Nota particolare: alcune marche cinesi non hanno alcuna traduzione in caratteri occidentali: sono fatti così, prendere o lasciare.
E, a proposito di cinesi, ecco l’ingrediente che manca nei Paesi occidentali: la “fame” del pubblico. Ad Auto China arrivano intere famiglie: papà e mamme con figli neonati, fidanzatini, bande di ragazze e di ragazzi, anziani, bambini, benestanti e non. Il pubblico, una folla immensa, è più che mai eterogeneo e difficilmente classificabile, ma con un denominatore comune: la voglia di automobile.
Vogliono vederle, toccarle, salire a bordo, fotografare e farsi fotografare davanti al cofano o nel bagagliaio. Scene che forse accadevano nel mondo occidentale, ed in particolare in Italia, negli anni ’60. Per i cinesi vale più la vettura del contesto, è più importante avere una foto con le mani sul volante piuttosto che in compagnia della hostess di turno. E’ solo quando ci si rende conto della loro passione che si riesce a non essere infastiditi dalla “foga” con la quale alcuni di loro “aggrediscono” il modello appena svelato.
Auto China Beijing non è un salone compassato, non è il regno degli addetti del settore: è uno show per la gente, è il “Salone del Popolo”. Sarà banale, ma siamo pur sempre nella Repubblica Popolare Cinese, no?
Come si conquista la Cina?
Non ho la presunzione di poter rispondere alla domanda su come si possa conquistare il mercato cinese. Qualcuno, potrebbe rispondere molto semplicemente “con i soldi“. Non è una risposta di per sé sbagliata, anche si potrebbe aggiungere un altrettanto sintetico “come hanno fatto i tedeschi“.
I rapporti tra Germania e Cina sono ottimi da più di un decennio, facilitati da una politica della Merkel che mette davanti a tutto gli interessi dei tedeschi, come giusto che sia. Non si è mai trattato solo di “vendere” automobili, ma di integrarsi all’interno del tessuto produttivo cinese, come ci ci hanno spiegato i dirigenti Mercedes presenti a Pechino. Non solo stabilimenti ma centri di ricerca tecnologica, dove poter integrare il meglio della conoscenza cinese. Perchè se da noi la Cina viene vista solo come un soggetto potenzialmente capace di copiare, loro hanno intravisto ben altre potenzialità. Ecco allora spiegato anche il Mercedes-Benz Advanced Design Center di Pechino, che completa la loro rete mondiale di centri del design.
Certo, bisognava crederci nel 2005, quando le industrie tedesche hanno iniziato ad investire decine di miliardi di dollari in Cina. E bisognava adeguarsi subito ad un mercato inesplorato, per certi versi difficile quanto promettente. Il risultato è che nei mesi di Gennaio e Febbraio 2014, la sola Volkswagen ha venduto 577.000 veicoli (fonte Focus2Move), ovvero poco meno della metà dell’intero mercato italiano.
Gli altri rincorrono, con un fanalino di coda rappresentato da FCA-GAC che potenzia gli accordi del 2010 producendo Jeep in Cina. Sarà la volta buona? Ne sapremo di più forse il 6 Maggio, quando Sergio Marchionne presenterà il piano industriale e capiremo quanto la Cina peserà nel gruppo FCA.