40 anni di Volkswagen Golf: alla guida delle 7 generazioni
Volkswagen Golf: al volante delle 7 generazioni della media di Wolfsburg.
Come si costruisce un’icona a quattro ruote? Attraverso una calibrata e continua evoluzione di stile e contenuti tecnici che possa, costantemente, adeguarsi e a volte indicare i nuovi standard di riferimento: questo in gran parte il segreto della Volkswagen Golf . Già, ma quanto si sono evolute le capacità dinamiche della Golf in 4 decenni? Quanto sono cambiate negli anni le sensazioni trasmesse al guidatore, l’abitabilità il comfort, la risposta del volante? Perché è questo ciò che conta quando ci si pone alla guida di un’auto! Per capirlo ci siamo concessi un mini test-drive di ognuna delle “sette sorelle”, un test ravvicinato che ci ha permesso di evidenziarne in modo chiaro, differenze e peculiarità di ogni modello proprio perché la formula dello “scendi e sali” lascia vive e inalterate le sensazioni di guida trasmesse da ognuna delle sette versioni. Un “fast Forward” della durata di 40 anni per vivere in modo immediato le scelte e le evoluzioni di ogni singolo modello. Inoltre i due video ci aiuteranno a rivivere le immagini e i passaggi più importanti che hanno scandito l’evoluzione di questa auto. Ma continuiamo con le nostre impressioni di guida rigorosamente in ordine cronologico, ecco come è andata…
VW Golf I: la prima della specie
Già osservarla da ferma, a motore spento, fa una certa impressione: parliamo della “uno”, la mamma di tutte le Golf. A lasciare di stucco sono le dimensioni, paragonabili a quelle di una moderna Polo. Lo stile è visibilmente subordinato alla funzione, pulito e con pochi fronzoli. Ha 40 anni ed il secco “toc” con cui si chiude la robusta portiera è lì a sottolinearlo. All’interno la parola d’ordine è essenzialità: i comandi sono tutti concentrati nel raccolto cruscotto rettangolare, con tachimetro, radio e aria condizionata a pochi centimetri di distanza fra loro. Stupisce la visibilità, col parabrezza quasi verticale e il lunotto bello amplio, in netta controtendenza rispetto alle auto odierne.
Sorprendente anche l’abitabilità rispetto alle contenute dimensioni esterne. La qualità costruttiva è testimoniata dal tempo trascorso: nonostante gli anni e i chilometri macinati dal nostro esemplare, tutto è perfettamente funzionante. Girando la chiave il piccolo 4 cilindri da 1.1 litri si avvia in pochi istanti per spegnersi un attimo dopo: fa molto freddo e c’è bisogno di “tirare la leva dell’aria”, un comando che i più giovani avranno visto sui libri di storia dell’automobile, sotto la voce “carburatore”; fa un certo effetto doversi riabituare a gestire il minimo del motore.
Pochi minuti e si raggiunge la temperatura di esercizio. Ingranando in sequenza le marce, emerge come la trasmissione sia perfettamente a punto, con innesti del cambio piacevolmente precisi. I 50 puledri erogati dal “mille e cento” non sono molti, ma bastano a muovere con relativa scioltezza un’auto che pesa meno di una tonnellata: a dire il vero la massa contenuta aiuta anche in manovra, dove però si fanno i conti con l’assenza del servosterzo idraulico; il positivo rovescio della medaglia è che in marcia, anche grazie alle gomme di sezione ridotta, l’auto trasmette un discreto feedback: la Golf I è agile e riesce a conservare una certa compostezza anche nei cambi di direzione più decisi. La potenza dell’impianto frenante è proporzionale alla cavalleria: anche in questo caso le sensazioni al pedale sono da “signorina matura”.
VW Golf II: viva il servosterzo
Avvicinandosi alla Golf II il feeling è quello di un Déjà vu: il profilo della vettura e il frontale sono visibilmente ispirati alla prima generazione del modello, ma tutto è rivisto in un’ottica decisamente più moderna, con la fanaleria della coda che vibra di personalità propria. All’interno il passo in avanti è ancora più evidente: l’architettura della plancia è la medesima, di forma quadrangolare, ma ora la strumentazione è molto più curata, con l’aggiunta dell’indicatore della temperatura del liquido refrigerante e di un orologio. Più a destra, in posizione centrale, radio e aria condizionata. In notevole crescita la qualità realizzativa complessiva, mentre il design dello sterzo a 4 razze è quasi attuale.
Alla pioggia di novità meccaniche introdotte con la Golf I (fra cui il motore anteriore trasversale raffreddato ad acqua, la trazione anteriore, i propulsori con albero a camme in testa e cinghia dentata), si aggiunge il servosterzo idraulico, un vero e proprio passo avanti in termini di comfort. Invariato anche il sistema sospensivo con schema McPherson all’anteriore e ruote interconnesse al retrotreno. Il quattro cilindri 1.6 litri da 75 Cv del nostro esemplare ha ben altra “verve atletica” rispetto all’1.1 della Golf primigenia, anche se si porta a spasso una massa più corposa. In marcia colpisce ancora una volta la bontà delle trasmissioni VW, con una frizione che richiede il giusto sforzo e innesti del cambio ben calibrati.
A basse velocità e in manovra il servosterzo è gradito come una bottiglia d’acqua fresca nel deserto. Dinamicamente la vettura se la cava piuttosto bene, esibendo un assetto più composto rispetto a quello della Golf I, meno soggetto a fenomeni di rollio e beccheggio. Più rassicurante anche la frenata per potenza e modulabilità: da sottolineare che con la seconda generazione della Golf è arrivato anche il sistema ABS.
VW Golf III: attuale anche nel comportamento dinamico
Sono 8 gli anni che separato la Golf II dalla terza serie del modello: eppure, guardando un esemplare della Golf III, il divario anagrafico sembra pari ad almeno 2 decenni. Questo perché, con la terza serie, Volkswagen ha rivoluzionato la fisionomia della Golf, traghettando il modello dagli anni ’80 ai ‘90. Con la Golf III viene completamente abbandonata quella continuità stilistica intercorrente fra la prima e la seconda generazione della media tedesca: via i gruppi ottici circolari, le forme squadrate e il lunotto dal piglio fastback, mentre le nervature longitudinali danno ora origine a giochi di luci ed ombre.
Della Golf II non v’è reminescenza nemmeno all’interno, dove il cambio di architettura, unito all’ascesa della qualità costruttiva, fanno compiere alla Golf III un salto a piè pari verso il segmento superiore. Non è un caso che la Golf III sia stata eletta auto dell’anno nel ’92. Nuovo anche il telaio, pensato per accogliere nuovi longheroni, concepiti per assorbire meglio gli urti e migliorare la rigidezza torsionale complessiva. Presenti anche inedite protezioni sulle fiancate atte ad irrigidire le portiere e a renderle più sicure in caso di impatto. Col crescere della sicurezza cresce anche il peso, che rimane comunque contenuto. Già prima di avviare il motore, la sensazione all’interno dell’abitacolo è quella di trovarsi un’auto di categoria superiore, ben isolata dal mondo esterno e progettata per dispensare ottimo comfort a tutti gli occupanti.
Un’impressione confermata in marcia, dove spicca un discreto isolamento acustico, sia per quanto concerne l’incapsulamento del propulsore, sia per quanto riguarda l’isolamento dei rumori provenienti da ruote e sospensioni. La dinamica di guida della Golf III, grazie alle doti dello chassis, è del tutto paragonabile a quella di un’automobile moderna anche grazie alla brillantezza del propulsore 1.9 TDI, ricco di coppia ai bassi e medi regimi. Decisamente in crescita anche l’impianto frenante.
VW Golf IV: aumenta la sportività
Golf IV? Forse la migliore interpretazione sul tema insieme alla Golf VII. Lo stile della carrozzeria riprende la strada dell’evoluzione: il risultato del passaggio generazionale è un’auto con i paraurti meglio integrati nel corpo vettura, con linee più pulite e parafanghi più atletici. La maggiore sportività della Golf IV passa anche per gli interni, con la plancia orientata al guidatore e una strumentazione dal piglio racing che include il computer di bordo. Radio e clima “salutano” la strumentazione tachimetrica e si spostano più in basso, vicino al cambio, mentre la cura di materiali ed assemblaggi cresce ulteriormente. Sotto al cofano del nostro esemplare questa volta c’è un V6 2.8 da oltre 200 Cv di potenza, abbinato alla trazione integrale permanente 4-Motion, introdotta nel 2000 e basata su una frizione Haldex a controllo elettronico.
Il confronto con la Golf III in questo caso è davvero impari: basta infatti far ruggire il 6 cilindri per capire di che pasta è fatta questa “4”. Lo sviluppo di potenza e l’erogazione della coppia sono regolarissimi, mentre la trazione assicurata dal 4-Motion è superba. L’auto non è leggerissima in assoluto, ma la presenza della trazione integrale e il passo relativamente corto la rendono agile fra le curve e pronta nei cambi di direzione. Consensi anche per la prontezza dello sterzo, l’efficacia del sistema frenante e la “solita” perfezione del cambio, secco e preciso come ci si aspetterebbe da un’auto sportiva.
Spremendo il V6 su una strada di montagna emerge tutta la bontà dell’accoppiata assetto-trazione integrale: il primo, confortevole ma ben frenato, permette all’auto di lanciarsi in curva con una stabilità invidiabile, mentre la seconda rende questa tedesca estremamente efficace anche in condizioni limite. La IV è stata anche la Golf che ha introdotto il cambio doppia frizione DSG.
VW Golf V e VI: l’evoluzione della specie
Con la Golf V la media di Wolfsburg punta la barra verso il segmento premium del mercato. A livello stilistico cambiano le proporzioni fra superfici vetrate e lamierati, con i volumi e i gruppi ottici che diventano più tondeggianti. Crescono anche le dimensioni e l’altezza da terra per conferire all’abitacolo una spaziosità di riferimento. All’interno il cambiamento più evidente è a livello della plancia, più “democratica” col passeggero e con i comandi traslati più in alto, in una posizione più ergonomica e sicura. Altrettanto consistenti le novità sottopelle: la vettura è costruita su un telaio totalmente nuovo, denominato PQ35, e vanta raffinate sospensioni multilink a 4 bracci al retrotreno per tutte le versioni: l’accoppiata fra questi 2 elementi fa compiere all’auto un vero e proprio balzo in avanti in termini di precisione di guida e compostezza di assetto.
La ciliegina sulla torta è data dalla presenza sull’esemplare in prova del velocissimo cambio DSG a doppia frizione, una trasmissione in grado di tirare fuori tutto il meglio dal generoso 1.4 TSI da 170 CV installato sotto al cofano: alla silenziosità del propulsore benzina si abbinano un tiro ai bassi e ai medi paragonabile a quello di un turbodiesel e una regolarità d’erogazione di riferimento per un 4 cilindri sovralimentato. Sterzo e freni sono all’altezza della situazione e fra le curve la Golf V inserisce con determinazione l’avantreno, con la coda che copia precisa la traiettoria e l’assetto che digerisce qualsiasi sconnessione.
Le medie che si possono raggiungere sono davvero elevate; guidare la “5” in questa configurazione è davvero un piacere: l’auto sembra infatti dotata di una doppia indole, una da agile scattista e l’altra da confortevole viaggiatrice. Al guidatore il compito di scegliere “di quale anima essere”. Caratteristiche che si ritrovano anche sulla sesta generazione del modello, vero e proprio anello di congiunzione (anche estetico) fra il passato recente della Golf, quello dei primi anni 2000, e il futuro del modello, rappresentato dalla settima e ultima versione. Fra tutte, la Golf VI è stata quella con la carriera commerciale più breve ma al contempo anche l’unica ad assistere a un passaggio tecnologico epocale per tutto il gruppo VW: l’abbandono dei turbodiesel con iniettore pompa per la più avanzata ed ecologica tecnologia common-rail.
Un cambiamento che ha condizionato, in positivo, anche l’esperienza di guida: se da un punto di vista dinamico la sesta generazione di Golf conserva e affina l’efficacia dinamica della quinta edizione, motoristicamente il passo avanti è enorme; il nuovo common-rail è infatti più silenzioso dei turbodiesel precedenti, è quasi esente da vibrazioni ed è più lineare nell’erogazione della potenza, pur conservando le innate doti di spinta ai bassi e medi regimi. Da segnalare anche il notevole passo avanti del sistema infotelematico dell’auto.
VW Golf VII: benvenuto segmento premium
La Golf VII rappresenta per Volkswagen una vera e propria svolta tecnologica e commerciale: come ormai è noto, la vettura viene costruita su una piattaforma costruttiva totalmente nuova, la MQB, che permette di risparmiare fino a 100 kg di peso, a tutto vantaggio dell’efficienza e del piacere di guida, entrambi ai vertici della classe. La VII è anche la prima Golf “premium” della storia grazie al livello di finitura raggiunto e al pesante bagaglio tecnologico che si porta appresso.
Stilisticamente l’auto si contraddistingue per linee nette e spezzate che ne sottolineano la sportività. L’accoppiata fra nervature sulla fiancata e i generosi passaruota dona alla “sette” un aspetto da vera hot-hatch. Enorme il passo avanti anche per quanto concerne gli interni: i materiali impiegati sono di elevata qualità mentre la finizione dei particolari è da luxury-car. Un contesto dove l’ergonomia non presta il fianco a critiche e si sposa con un “benessere di bordo” che pone nuovi riferimenti: perfetto il posto di guida, assolutamente razionale la plancia e i comandi mentre la silenziosità di marcia è da berlina presidenziale.
Dal punto di vista dinamico, sulla Golf VII viene amplificata la possibilità di personalizzare i parametri di guida relativi alla risposta dello sterzo, del motore e dell’assetto; ciò finisce per aumentare considerevolmente la poliedricità della vettura e la sua capacità di adattarsi ai desideri del guidatore. Sia in abbinamento ai propulsori a gasolio che a quelli a benzina (tutti dotati sovralimentati con turbocompressore), emerge un comportamento dinamico esemplare: la vettura da subito dà una grande confidenza, sfoggiando un equilibrio invidiabile fra doti di comfort e sportività.
La fluidità con cui lavorano sterzo, telaio e cambio è lodevole; il primo è assai comunicativo e pronto nella risposta: permette di inserire l’auto in curva esattamente dove si desidera; egregio il lavoro dello chassis, dotato di una rigidità torsionale straordinaria: anche grazie al fine lavoro delle sospensioni, l’auto rimane composta anche forzando gli inserimenti o provocando il retrotreno col rilascio improvviso dell’acceleratore; in ogni frangente la Golf VII esibisce un comportamento neutro che infonde un’enorme sicurezza di marcia. Superbo anche il cambio, sempre preciso (c’è anche il fulmineo DSG a doppia frizione), e i freni, instancabili.
Richard Gumpert e Kurt Lotz: innovatori di un’era
La nascita dell’“epopea Golf” non fu casuale e nemmeno semplice: da una parte la Volkswagen dei primi anni ‘70 aveva la necessità di proporre un prodotto che potesse portare un ottimo ritorno economico all’azienda, dall’altra bisognava accantonare la gloria della Beetle e ripartire da un prodotto totalmente nuovo sia sotto il profilo stilistico che sotto quello meccanico. Un’impresa portata a termine dalla collaborazione di 3 uomini, Kurt Lotz, Gerhard Richard Gumpert e Giorgetto Giugiaro: un trio di menti illuminate che hanno rappresentato il primo esempio di eccellente collaborazione fra la precisione dell’ingegneria tedesca e la geniale creatività italiana.
Kurt Lotz fu il secondo amministratore di Volkswagen AG dopo la fine della seconda guerra mondiale, nominato nell’aprile del 1967 per sostituire Heinrich Nordhoff, l’uomo che rese la Beetle un fenomeno di costume a livello globale. Lotz fece acquisire la NSU (che poi diventerà Audi) alla Volkswagen: un matrimonio fatto di “gioie e dolori” che furono determinanti per la nascita della Golf ma anche per il successo dell’attuale Gruppo Volkswagen. L’unione con NSU permise infatti agli uomini di Lotz di apprendere il know-how della compagnia sulla tecnica del raffreddamento a liquido dei motori a 4 tempi e sulle auto “tutto- avanti”, quelle a motore e trazione anteriore. Conoscenze che sarebbero poi state indispensabili per lo sviluppo di auto che potessero dettare il passo sulla concorrenza.
La NSU tuttavia non navigava in acque placide: i suoi problemi economici, derivanti da innumerevoli insuccessi commerciali, stavano trascinando la stessa Volkswagen verso una pericolosa banca rotta. C’era bisogno di una svolta che potesse rilanciare le vendite, di un prodotto che potesse ripetere il successo della Beetle. La scintilla della rivoluzione si ebbe al Salone di Torino del 1968, quando Lotz, accompagnato da Gerhard Richard Gumpert, importatore italiano di Volkswagen con la società Autogerma da lui fondata nel 1951, rimase colpito dalle vetture firmate da un giovane designer, un “tale” Giorgetto Giugiaro, fondatore con Aldo Mantovani della Italdesign (oggi in parte di proprietà VW). L’accordo di collaborazione tra Lotz e Giugiaro fu siglato subito dopo anche per merito di Gumpert, profondo amante della cultura italiana e fine conoscitore del mercato auto nazionale, anche all’epoca fra i più importanti d’Europa.
Giorgietto Giugiaro: il design della prima Golf
L’intera carriera di Giugiaro, oltre al suo successo mediatico e alla consacrazione presso il grande pubblico è sicuramente arrivata a lui grazie al fatto che fu scelto come designer della prima Golf, una svolta fondamentale per la sua storia di giovane e talentuoso disegnatore. In questo la chiave di svolta arrivò nel 1968 al salone di Torino, quando conquistò l’attenzione e l’ammirazione di Richard Gumpert e Karl Lotz che dopo breve tempo gli assegnarono la realizzazione del design della prima Golf.
Giorgetto Giugiaro, che già aveva avuto un’esperienza di successo in Fiat, Bertone e Ghia, si mise subito al lavoro per progettare una carrozzeria idonea a celare una meccanica con motore raffreddato ad acqua e montato nell’avantreno: una condizione di partenza esattamente opposta a quanto si poteva trovare sulla Beetle, una “tuttodietro”. L’italiano lavorò alacremente e a marzo del 1970 presentò il primo modellino della Golf in gesso; a luglio era già pronto quello a grandezza naturale. L’impostazione generale piacque sin da subito in Germania che autorizzò Giugiaro a procedere con la definizione di esterni e interni, mentre proseguiva in parallelo lo sviluppo della meccanica. Nell’aprile del 1971 fu pronto il primo prototipo marciante dell’auto e iniziarono le prove su strada che procedettero senza intoppi fino alla primavera del 1974, quando la sostituta del Maggiolino venne svelata a Monaco.
Alla presentazione il nuovo modello lasciò di sasso critica e pubblico, entrambi abituati ad identificare il marchio Volkswagen con la Beetle: sulla nuova Golf del “Maggiolino” non c’era nemmeno una vite; all’antitesi meccanica si affiancava quella stilistica, con la Golf fatta di linee tese e spigolose che sostituivano in tutto e per tutto quelle curve e morbide dell’antenata. Tuttavia il nuovo modello di casa VW piacque da subito per via dei costi di gestione contenuti, della praticità, dell’elevata affidabilità e dell’ottimo comportamento stradale. In un comunicato stampa dell’epoca si legge “La bassa linea di cintura sottolinea l’essenzialità strutturale, mentre il cofano anteriore digradante apre la visuale sulla carreggiata immediatamente davanti alla vettura. Inoltre il lunotto estremamente ribassato facilita le manovre in retromarcia”. Doti che hanno permesso alla Golf di raggiungere il traguardo di un milione di unità vendute già nell’ottobre del 1976, appena 31 mesi dopo la commercializzazione. Il resto è storia, quella di un’icona di successo planetario, fatta di decine di milioni di unità vendute.
Walter De Silva
Walter de Silva (Lecco, 27 febbraio 1951) è un designer italiano che inizia la sua carriera nel centro stile Fiat. Nel 1999 lascia il Gruppo Fiat per dissidi con l’amministratore delegato Paolo Cantarella, e approda in Volkswagen Group, chiamato da Ferdinand Piëch. Si trasferisce così a Barcellona per occuparsi del marchio SEAT, ridisegnando le nuove Ibiza, Córdoba, León e Toledo, e realizzando l’Altea. Nel 2002 viene chiamato in Germania e nominato capo designer della holding Audi, occupandosi così direttamente dello stile della casa di Ingolstadt, ma rimanendo responsabile di SEAT ed assumendo inoltre la stessa carica in Lamborghini, per cui crea subito un proprio centro stile affidandolo a Luc Donckerwolke. Nello stesso anno, disegnando la nuova A6, de Silva rivoluziona la mascherina frontale Audi con l’avvento del Single Frame (o Monoframe) – una soluzione stilistica originale, derivata dalle Auto Union guidate da Hans Stuck negli anni trenta,[1] applicata poi con successo come family-feeling a tutte le vetture della casa.
Walter de Silva firmò il design della Golf sesta serie (e poco prima ridisegnò la nuova Polo). La sua prima Golf reinterpretava in chiave aggiornata il look della precedente generazione introducendo alcune nuove tecnologie come i fanali a Led e alcune telecamere e sensori utilizzati per controllare la strada e per gestire l’innovativo cruise control adattivo che la sesta generazione proponeva su richiesta.
Esattamente come la prima generazione, anche la sesta e la settima versione della Golf sono nate dall’estro di un designer italiano: se ai tempi fu Giugiaro l’artefice di un prodotto che sarebbe entrato nella storia, le ultime due edizioni della media di Wolfsburg si devono a Walter de Silva, probabilmente il designer italiano di auto più conosciuto e ammirato sulla piazza. Non per caso, anche Walter de Silva ha un passato nel gruppo Fiat, con l’approdo in VW Group avvenuto nel 1999, quando venne messo a capo di Seat. Appena 3 anni dopo è il capo del centro stile Audi fino a raggiungere, nel 2007, la testa del design dell’intero gruppo VW e di tutti i marchi che ne fanno parte. Tra il 2008 e il 2011 reinventa invece due icone Volkswagen, ovvero la Golf, disegnata con Flavio Manzoni e Klaus Bischoff e la Beetle quest’ultima creata sempre assieme a Bischoff.
Nel 2010 ha vinto il Design Award, il più importante premio del settore in Germania, per l’Audi A5, da egli stesso definita la sua miglior creazione. Nel 2011 è stato insignito del “Premio Compasso d’oro” alla carriera dall’Associazione per il Disegno Industriale. E se la Golf VI è stata un ottima reinterpretazione della V (che invece divise i fedelissimi della Golf), la VII è stata per de Silva una vera e propria sfida: fu egli stesso, nel 2009, a rivelare di aver perso il sonno a forza di pensare a quale sarebbe dovuto essere il linguaggio stilistico della nuova Golf; se non altro le ore di sonno perse hanno dato ottimi risultati.
I numeri della Golf
LA Golf I (1974-1983) incontra subito i favori del pubblico tanto che nel 1976 supera già un milione di esemplari venduti e chiude la sua splendida carriera con oltre 6,8 milioni di Golf prima serie vendute nel mondo.
Altro successo per la Golf II (1983-1991) che supera quota 6 milioni fermandosi a ben 6,3 milioni di auto.
Man mano che che si va avanti con i modelli diminuisce la vita media dei modelli e quindi decrescono anche gli anni in cui i vari modelli restano in produzione. Ciò nonostante il successo non si arresta, infatti la Golf III (1991-1997) in soli 6 anni viene prodotta in ben 4,8 milioni di auto nel mondo, portando il dato complessivo di tutte le Golf oltre quota 17 milioni.
La Golf IV (1997-2003) fa segnare circa 4,3 milioni in circa 7 anni, mentre la Golf V (2003-2008) viene prodotta in 2.344.182 esemplari in circa 5 anni di produzione (finora la meno apprezzata della serie).
La Golf VI (2008-2012) migliora i volumi annui segnati dal precedente modelli segnando quota 2,8 milioni di auto in soli 4 anni.
Infine la Golf VII (2012-) l’ultima nata di casa Volkswagen è ancora in produzione e sta segnando nuovi record nel gradimento del pubblico, lo testimoniano gli oltre 3,56 milioni di esemplari venduti dal lancio fino ad oggi, vale a dire ben oltre il milione di esemplari all’anno. Non sappiamo ancora fino a quando resterà in commercio ma ha tutte le credenziali per diventare tra la Golf più venduta di sempre.