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Le regine degli anni Ottanta: meglio loro o quelle di oggi?

Il periodo che va dalla fine degli anni 80 ai primissimi anni 90 è quello della grande bolla speculativa che ammorbò il settore dell’auto: possedere un’auto da collezione divenne un simbolo di elevazione sociale, partecipare a un raduno o a una prestigiosa rievocazione storica di una gara automobilistica era un vero “must”. Le quotazioni delle


Il periodo che va dalla fine degli anni 80 ai primissimi anni 90 è quello della grande bolla speculativa che ammorbò il settore dell’auto: possedere un’auto da collezione divenne un simbolo di elevazione sociale, partecipare a un raduno o a una prestigiosa rievocazione storica di una gara automobilistica era un vero “must”. Le quotazioni delle auto da collezione, da un giorno all’altr0, si moltiplicarono per 2, 5, 10, 20 volte. Dal cappello al cilindro si smaliziati meccanici e restauratori riaffioravano come per magia modelli rarissimi e altrettanto preziosi (il più delle volte repliche, falsi o ricostruzioni). Nel settore del nuovo nasceva il concetto di “ISTANT CLASSIC”, affibiato a quelle macchine che, appena nate, erano già auto da collezione e per accaparrarsene un esemplare, i più invasati erano disposti ad acquistarle a prezzo doppio o triplo rispetto a quello di listino.
Le case automobilistiche, su questo fenomeno, ci marciarono molto: per declinare un nuovo concetto di sportività che andasse di pari passo con un’esclusività estrema, crearono gioielli di meccanica e prestazioni. Ma, in alcuni casi, si ridussero a produrre in perdita, se non addirittura fallirono.
Certo è che da allora il mercato delle supersportive non ha mai smesso di emozionarci con creazioni straordinarie. Ecco una SELEZIONE di ALCUNE delle più famose. Diteci quale vi ha fatto battere più forte il cuore e che vorreste addirittura come “paperetta” nella vasca da bagno!
Ferrari F40 1987

Ferrari F40 1987: L’ultima creatura voluta da Enzo Ferrari nacque come una conturbante macchina da pista con una targa stradale applicata. Costava, di listino, oltre 320 milioni di Lire ma si narra di gente “affamata” che riuscì a pagarla oltre un miliardo di lire. Monta un 8 cilindri a V, 2936 cc, 478 Cv, 324 km/h e, al limite, era descritta come “molto difficile”. La produzione totale ammonta a 1.311 esemplari.



Bugatti EB 110 1991: Ettore Bugatti fu un innovatore del settore dell’auto. Lungi dall’essere un megalomane fece della tecnologia applicata all’auto una filosofia di vita: il 16 cilindri, la distribuzione bialbero, l’uso del compressore volumetrico… sono solo alcune delle soluzioni che utilizzò delle sue auto. Alla fine degli anni Ottanta, l’altoatesino Romano Artioli si fece promotore della rinascita del marchio Bugatti sulla stessa lunghezza d’onda. L’EB110 fu, all’epoca, il più tecnologico veicolo a quattro ruote del listino: 12 cilindri a V, 3,5 litri, 4 turbocompressori, 550 Cv (che diventavano 610 nella versione SS), telaio realizzato con tecnologie aeronautica e molto altro (prezzo superiore al mezzo miliardo di Lire). Scattava da 0 a 100 in meno di 4″ e superava i 340 km/h. Un’auto straordinaria, un progetto industriale fin troppo ambizioso (nei programmi rientrava anche l’erede della Bugatti Atlantic, la famosa EB112 disegnata da Giugiaro della quale fu realizzato solo un prototipo) che naufragò malamente dopo poco tempo: nemmeno centocinquanta EB110 e una dichiarazione di fallimento.


Jaguar XJ220: la casa di Coventry non è famosa solo per la E-Type o per l’XK Coupé dei giorni nostri. Ci furono anche grandiose auto da corsa o stupendi prototipi: la C-Type del’53 (una delle prime auto da competizione con freni a disco), la D-Type del 55, la XJ13 del ’67. E poi l’XJR 11 che corse a Le Mans negli anni 80 o la XJR-15 per i clienti con velleità sportive. Volendo a tutti i costi produrre qualcosa di veramente “esotico” ma soprattutto “stradale”, nel 1988 presentò il prototipo dell’XJ 220, una supercar da brivido: lunga quasi 5 metri, laerga oltre 2, aveva un motore 12 cilindri da 6,2 litri. Dopo un lungo sviluppo, entrò in produzione con un più convenzionale 6 cilindri biturbo da 3,5 litri, 540 Cv, oltre 330 km/h, da 0 a 100 in meno di 4″. Un’auto grandiosa (recentemente ha dato la polvere alla Pagani Zonda). Ma anche lei, dopo un prezzo iniziale di oltre mezzo miliardo di lire, dovette essere venduta con un forte sconto (in perdita) a poco più di 350 milioni.


Lamborghini Diablo: la meno costosa e rara del gruppo, non era meno emozionante nella resa estetica e nelle prestazioni da brivido. L’erede della Countach era spinta da un motore 12 cilindri a V, 5,7 litri, 492 Cv, da 0 a 100 in 4″ e 325 km/h di velocità massima. Molto scorbutica, auto dalla guida che richiede esperienza (i primi esemplari non avevano nemmeno l’ABS), fu prodotta fino al 2001 in molte varianti e versioni speciali.


McLaren F1 1994: la creatura di Gordon Murray, uno dei più grandi progettisti d’auto mai esistiti, è considerata dalla maggior parte degli appassionati e addetti ai lavori come la migliore auto di tutti i tempi. Prodotta in 107 esemplari (di cui poco più di 60 stradali, le altre furono versioni da corsa) al faraonico prezzo di oltre 1 milione di dollari era un’auto da record: la sua velocità massima di 386 km/h è stata superata solo recentemente dalla Koenigsegg CCR e dalla Bugatti Veyron. Sconvolgente dal punto di vista meccanico, aveva un telaio in fibra di carbonio con tre posti per gli occupanti: quello di guida al centro, quelli per i passeggeri ai lati, leggermente arretrati. L’unità propulsiva, un 12 cilindri di 6,1 litri aspirato, assicurava circa 630 Cv di potenza massima. “Perfetta” dal punto di vista progettuale, in versione corsa vinse per due volte la 24 Ore di Le Mans (1998 e 1999). Tra i suoi possessori (veri o presunti) vi sono personaggi arci-noti: Nick Mason, Bill Gates, Michael Schumacher, il Sultano del Brunei (sembra ne possieda più d’una), Ralph Lauren.


Porsche 959: il più grande laboratorio viaggiante precedente l’inizio del nuovo millennio suscita ancora oggi maggior fascino rispetto alla pur straordinaria Carrera GT. L’auto fu annunciata nel 1984 ma per ritardi di progettazione entrò in produzione solo nel 1987. Aveva un prezzo smisurato, nell’ordine dei 400 milioni di lire ma anche lei, alla fine, fu venduta in perdita. A contraddistinguerla era una meccanica davvero d’avanguardia, il massimo allora disponibile sul mercato: motore 6 cilindri, 2,8 litri, due turbocompressori con funzionamento “sequenziale”, trazione integrale intelligente, sospensioni a controllo elettronico (con possibilità di regolare l’altezza da terra), cambio a 6 marce, carrozzeria in materiali compositi. Forte di 450 Cv, scattava da 0 a 100 in meno di 4″ e raggiungeva 315 km/h. Due le versioni disponibili: Sportversion e Komfortversion.

Recentemente c’è stato chi ha sollevato dubbi sulla validità del progresso moderno nel settore dell’auto, evidenziando come le auto di qualche anno fa abbiano poco da invidiare a quelle moderne. Si potrebbe dire, molto semplicemente, che i limiti (tecnologici e prestazionali) di qualche hanno fa sono stati spostati più in alto. Eppure, di fronte ai “mostri sacri” di ieri, le supercar di oggi appaiono, in molti casi, degli inconsistenti “eccessi” in cui, l’esigenza di proporre un veicolo che sia “estremo”, costringe da a proporre “robe” da 1000 Cv , 400 km/h e rende necessaria una montagna di elettronica. Con la conseguenza che l’auto è inguidabile perché non appena i sistemi di controllo della dinamica avvertono situazioni di pericolo, tagliano la potenza o frenano il corpovettura; ma, senza tutti questi strumenti, l’auto risulterebbe comunque inguidabile se non da un pilota, l’unico in grado di controllarla. Per non parlare della “potenza tecnologica” dei costruttori e delle esigenze di Marketing che hanno dato anche a tranquille berline, l’immagine (e le caratteristiche) di un bolide da corsa con l’installazione di esagerate motorizzazioni. Insomma, forse le super-sportive di un tempo sono più affascinanti, perché il divario con i segmenti inferiori era più netto. Oggi, ormai, quasi tutti sono in grado di portare un’auto oltre i 300 orari.

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