Dome Zero
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Dopo la Jiotto Caspita, era d’obbligo ricordare un’altra dream car storica della giapponese Dome, dalle linee talmente tese e taglienti da sembrare frutto di un fumettista di fantascienza. Presentata al salone di Ginevra ’78, la Dome Zero è in pratica il primo tentativo di Minoru Hayashi di creare una supercar in piccoli volumi e omologabile per uso stradale. Il progetto Zero non fu mai completato, schiacciato dai grandi costruttori nipponici e l’omologazione stradale non arrivò mai. Più apparenza che sostanza, la Zero montava in posizione posteriore/centrale il sei cilindri in linea Nissan di 2,8 litri e 145 CV (105kw), con un peso complessivo di 920 kg.
Una seconda versione chiamata P2 fu presentata nel ’79 per i mercati esteri e dotata di paraurti USA, ma tutto si esaurì in 2 prototipi. All’occhio dei più attenti non sfuggirà il design futuribile, figlio di tanti prototipi visti dagli anni ’60 in giro per il mondo, opera soprattutto dei carrozzieri italiani. Si può facilmente riconoscere l’ispirazione di Bertone/Gandini con la Stratos e la Countach, Giugiaro con la sua Maserati Boomerang e Pininfarina/Martin con la Ferrari Modulo.
Ancor più impressionanti sono poi le versioni da corsa, destinate alla 24 ore di Le Mans ’79, ’80 e ’81, dotate di coda lunga e postura minacciosamente bassa. Due ritiri e un’ultima posizione sono il magro risultato agonistico di questa strana dream car che merita di essere ricordata, se non altro per il coraggio delle scelte stilistiche.
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