Suzuki da Hamamatsu a Ginevra, passando per Nuova Delhi
Breve storia di una superpotenza dell’automobile, poco raccontata.
C’è un mondo di superpotenze diviso tra Stati Uniti, Europa e Cina. In mezzo c’è l’India, di cui solitamente sappiamo poco, a parte il miliardo di abitanti, la povertà, la ricchezza, la “nostra” Sonia Gandhi e i due marò.
C’è chi in Italia negli anni si è costruito una buona reputazione. Merito di modelli come Samurai, Vitara o Jimny. Vetture oneste, che fanno il loro mestiere, e che spaziano dalla piccola Celerio alla Gran Vitara, dalla invidiabile esperienza nelle 4 ruote motrici. Il tutto con quello stile giapponese Suzuki: no ad annunci roboanti, si a promesse mantenute.
Ebbene, se in Italia Suzuki ha venduto 18.681 vetture nel 2015 (+ 17,16% rispetto al 2014) con una quota di mercato del 1,2%, in India Maruti Suzuki è un colosso che brucia record su record. I numeri fanno girare la testa: nel 2015 sono state vendute più di un milione di vetture e per il 2016 il target è fissato a 1,3 milioni, con una quota di mercato pari al 47%. Con queste cifre diventa spiegabile lo sviluppo, in India Suzuki impiega un team di più di 200 ingegneri, di una vettura esclusivamente dedicata all’India: la Brezza. Per i più curiosi possiamo dire che la questione è di natura fiscale e ha a che vedere con le tasse di proprietà che crescono di pari passo alle dimensioni…
Come ha fatto Suzuki ad arrivare a tanto? La “conquista” dell’India è iniziata in tempi non sospetti, quando esisteva la cortina di ferro, in Unione Sovieta comandava Brezniev ed in Cina si teneva il processo alla “banda dei quattro” della quale l’esponente di spicco era la vedova di Mao. Altri tempi, insomma. Ci voleva la lungimiranza e la perseveranza di Osamu Suzuki per decidere di affrontare il burocratismo avviluppante che pervade la società indiana.
Suzuki approfitta allora delle prime riforme economiche di Indira Gandhi e lancia la joint venture Maruti Suzuti, dove “Maruti” è l’azienda governativa che deteneva il 54% per poi scendere nel 2005 al 47% in favore di Suzuki stessa. La partenza è in salita, con un modelli che puntano sulla robustezza e sul prezzo. Fino a quel momento le automobili erano un bene di lusso, anche in virtù delle politiche protezionistiche che di fatto bloccavano le importazioni. La motorizzazione di massa è un miraggio, ma un passo alla volta Maruti Suzuki prende (quasi) tutto lo spazio che c’è da prendere. Oggi sono tre gli stabilimenti, e Maruti Suzuki occupa 13.000 persone in un Paese dove il tasso di disoccupazione è attorno al 8,8%.
In tutto questo tempo, c’è qualcosa che i giapponesi possono aver imparato dagli indiani? Una domanda in apparenza banale, ma che la dice lunga sul legame creato. La risposta viene fornita da Koichi Suzuki: “C’è sempre qualcosa da imparare. Non posso dire che in Giappone la vita sia facile, ma abbiamo certi standard che qui non ci sono, come ad esempio la puntualità dei treni… In India dobbiamo affrontare ogni giorno tanti problemi, e io ammiro gli indiani per la capacità di risolverli rapidamente senza scoraggiarsi mai. Sono persone che non si fermano davanti a niente: è una qualità importante che gli va riconosciuta.” Qualità e precisione giapponese, più caparbietà indiana: il quadro si fa più completo.
L’impronta del carismatico Osamu Suzuki si nota in India in tanti importanti dettagli. Quello che stupisce ad esempio, allo stabilimento di Manesar, è la meticolosità nell’implementare sistemi per risparmiare energia elettrica. Dovrebbe la regola d’oro sempre, in realtà girando il mondo si scopre che non è così.
A Manesar buona parte della superficie interna è illuminata da luce naturale, e per illuminare alcuni punti è necessario premere un pedale, in modo che la lampada sia accesa solo lo stretto necessario. A questo punto sembra scontato dirlo, ma c’è anche una centrale solare. Non solo luce: durante la lavorazione, le parti di automobile si muovono sulla catena di montaggio grazie alle forza di gravità. L’elenco potrebbe andare avanti per molto, risultando noioso. Il risultato, anche in questo caso, è un matrimonio perfetto tra chi evita sprechi e una nazione che deve garantire elettricità per un miliardo di persone.
A Manesar ci fanno notare che da questo impianto vengono esportate 120.000 vetture ogni anno, Giappone compreso. E proprio a Manesar vediamo nelle linee di produzione la nuova Baleno, pronta per essere inviata all’estero. A Nuova Delhi un concessionario locale che vende circa 1500 automobili ogni mese (!!!) ci dice che da loro è già un successo a tal punto che non c’è verso di abbassare il prezzo contrattando. Alle mie rimostranze da cliente italiano “ma come… non mi fai uno sconto?” il venditore quasi mi ride in faccia: per avere una Baleno, da lui si fa la coda. Altro che sconto…
La nuova Baleno sarà in mostra al Salone di Ginevra che aprirà nei prossimi giorni, in attesa del lancio sul mercato che avverrà nel prossimo mese di Aprile.
E nel viaggio tra Hamamatsu, Nuova Delhi e Ginevra, non può suscitare curiosità questo marchio giapponese 100%, che vanta un legame profondo, duraturo e proficuo con l’India, anche se “nessuno” lo sa.