F1 GP Spagna 2016: Hamilton-Rosberg, la miccia è esplosa. Il giovane Max fa la storia
Una polveriera pronta a esplodere da tempo quella tra i due Mercedes. A Barcellona il giovane Verstappen mette in riga tutti. La Ferrari ancora una volta spreca
Trenta, forse trentacinque secondi, non di più. Poi le mani sul casco di uno, lo sguardo nero e quasi incredulo dell’altro. Doveva esplodere prima o poi quella brace che covava, e non poteva che succedere nelle primissime, concitate fasi della gara. Perchè a Barcellona è dura superare ed il primo giro è fondamentale. Lo sapeva bene Hamilton, figuriamoci Rosberg. Una-due-tre curve per accendere la miccia.
Rosberg regola un manettino sul volante. Vede la sagoma argento dagli specchietti all’ultimo. Chiude tutto sulla destra. Perchè quel rivale lì, che lo scorso anno pareva esser una tigre in gabbia, quest’anno sembra ben più mansueta, controllabile. Hamilton non si aspetta quella chiusa. Va sull’erba, perde il controllo. E travolge Nico.
Trenta secondi, forse trentacinque. Fine dei giochi, per lo meno in pista. Devono esser volate parole grosse nel motorhome Mercedes nei minuti seguenti. Inutile poi mantenere il basso profilo di Toto Wolff. Sopratutto se poco prima Nicki Lauda spara la sentenza, la sua scure su Hamilton che, a sentirlo, non doveva fare quell’attacco. Già, ma quell’attacco valeva più di un sorpasso. Così come la difesa di Nico. Era lo scontro finale di una supremazia contesa. Perchè il campione del mondo prende schiaffi dal tedesco da sette gare.
Da star fatta e compiuta, Lewis voleva finalmente far ristabilire quelle gerarchie che Rosberg tra il finale 2015 e l’inizio di questo 2016, quatto quatto, aveva sovvertito. Rosberg e Hamilton come Senna e Prost, anzi peggio. Perchè brasiliano e francese si detestavano. Fin da subito, immediatamente. Ma avevano superato il limite solamente quando la posta in palio era il titolo. Il teatro ai tempi si chiamava Suzuka, ed era il finale di campionato. Oltretutto la rivincita di Magic avvenne con Prost in Ferrari. Nico e Lewis, amici da bambini, hanno recitato la parte per fin troppo tempo. Anche se non ci credeva più nessuno da anni.
Ed anche loro hanno faticato a mantenere quella farsa di rispetto. Oggi son volati gli stracci a Barcellona. La Corazzata teutonica (si) è affondata miseramente. Quelle mani sul volto di Hamilton sono la dimostrazione di uno stato adrenalinico, di eccitazione non controllata tra i due che doveva esser gestita molto meglio dal muretto.
Pazienza, perchè oggi la Formula Uno si è riconciliata con lo spettacolo. E per farlo è servito un ragazzino di diciotto anni e sette mesi. Che poi, chiamarlo ragazzino risulta difficile. Il “tanto decantato fenomeno” che in molti lo scorso anno ritenevano troppo giovane per esordire tra i grandi oggi, alla prima occasione con una vettura potenzialmente competitiva, quei grandi li ha messi tutti in riga.
E’ la storia da film di Max Verstappen, passato in Red Bull grazie al papà Jos – che ha messo in giro le voci di un marcato interesse di Ferrari e Mercedes – e grazie al papà putativo Helmut, che ha sacrificato il vitello Kvyat per far salire il pupillo. Cattivo allo start su Vettel, ha poi guidato come un veterano. Veloce, bravo a gestire la pressione. Un mostro di freddezza quando quel Cavallino rosso è diventato ingombrante negli specchietti. Già, ma in quegli specchi è rimasto, fin sotto alla bandiera a scacchi.
E’ allora che è uscito fuori un animo da diciottenne sul podio. Quel sorriso quasi timido e adolescenziale. Non si rendeva evidentemente conto di ciò che aveva combinato quel ragazzone olandese. In un colpo solo ha offuscato la prima guida Red Bull, quel Ricciardo anche sfortunato nel finale. Ha ucciso sportivamente Kvyat che pure un podio lo aveva dato a Mylton Keynes.
Ha fatto la storia il giovane Max, divenuto principe così giovane. Ha messo dietro la Ferrari, la storia della Formula Uno. Già, il Cavallino, ancora una volta pronto a recriminare, a piangere sul latte versato. Una gara persa il sabato con quelle qualifiche sciagurate. Poi la tattica di Vettel, la vettura che si, probabilmente è stata la più veloce in pista, ma non dove era necessario per attaccare. Kimi è stato praticamente venti giri nella speranza di poter trovare lo spunto di un attacco. Vettel ha difeso il terzo posto su Ricciardo come fosse in dati momenti un’impresa disperata. Un pò poco per una, anzi, per la Scuderia che ad inizio anno puntava al colpo grosso. A poco servono le parole di Maurizio Arrivabene che vuol vedere il bicchiere mezzo pieno a fine gara: il tempo delle promesse e delle scusanti è passato da un pezzo.