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Il giorno in cui la Formula Uno morì

Lo schianto, la sospensione, il piantone, il Tamburello. E poi Lucio Dalla, la laggenda. Era il primo maggio 1994 e Senna divenne immortale


Formula 1 – Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota. E corro veloce per la mia strada cantava Lucio Dalla. Un allungo, la Williams che smusa. L’impatto con il Tamburello. Curva veloce, lunga, da uomini veri. Si narra che nei tempi d’oro della Formula Uno potevi capire chi fosse un campione distintamente. Lo sentivi se carezzava l’acceleratore o teneva giù.

Roba d’altri tempi. Era un primo maggio, avevo nemmeno dieci anni. Eppure nitidamente chiunque può raccontare quella sensazione di sgomento, di lutto, di vuoto dalle ore 14.17 in poi nascere da Imola per propagarsi ovunque. L’aria diversa, il cielo con il sole invero, ma con i colori degni di una tragedia mista a follia dipinta da Van Gogh.

C’era quell’amarezza che sai diverrà lutto, increscioso silenzio misto a dolore. Una dinamica che ha dell’assurdo. Le polemiche precedenti, i problemi con quell’auto che doveva rilanciare il brasiliano. Ed invece non vi era posto nemmeno per le mani quando si sterza. E poi quel piantone maledetto, modificato e risaldato, quella sospensione entrata nel casco dei colori brasiliani.

Sì, la scatola nera presa a martellate, il processo ai limiti del paradosso, i “non mi ricordo” di Hill. Tutto vero. Tutto inesorabilmente senza significato agli occhi di chiunque. Piloti ai box, davanti ai monitor, con l’elicottero fermo in mezzo alla pista.

Una macchina sola arrivò per errore e per sbaglio. Era Erik Comas. Destino volle fu proprio lui, soccorso proprio da Ayrton in quell’incidente a Blanchimont in Belgio due anni prima. Serviva un ultimo saluto. Le immagini crude e violente nella loro impassibilità, dipingevano le gambe, i piedi di colui che era magico in una monoposto. Ferme, impassibili.

Lì vicino c’era il suo amico Sid; dottor Sid Watkins per la precisione. Ci aveva provato a convincere Ayrton a ritirarsi. Anche perchè quelle ore prima erano state macchiate dal sangue di Roland Ratzenberger.

“Dai, mi ritiro anche io e ce ne andiamo a pescare insieme”
“Non posso Sid, lo sai”.

C’è un alone di oscurità negli occhi del brasiliano. La raccontano in tanti, forse in troppi, fin dalla notte prima di quel fine settimana oscuro, in una stagione oscura. Non era iniziato bene il suo anno: due ritiri, quei problemi con la scuderia e la vettura di Sir Frank.

Troppo poco per Ayrton, per colui che era la Formula Uno. Magico si, umano, sanguigno, generoso, altruista, coriaceo. Le imprese di Donington Park o di Suzuka. I mondiali, la vittoria a Interlagos. Le polemiche con Balestre, le litigate con Prost, i duelli ruota a ruota con Manesell. E quel giro a Montecarlo.

Poesia, danza tra i cordoli, leggiadria in un mondo di cambi con la leva, servosterzo zero, cavalli su cavalli, coraggio sensibilità passione.

Correva il 1° Maggio 1994. Fu il giorno in cui la Formula Uno morì.

Tu mi hai detto “chiudi gli occhi e riposa”
e io adesso chiudo gli occhi…

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