Indy500: Alonso che sfortuna, vince Sato!
Il motore Honda tradisce l’asturiano al giro 179 su 200. Per il Giappone è comunque festa grande
Aveva tutto da perdere Fernando Alonso da questa nuova avventura a Indianapolis, e nulla da guadagnare. Un salto nel vuoto, una scommessa con se stesso per dimostrare di essere ancora un campione, un fenomeno. Un rischio, un salto nel vuoto che però serviva. Perchè in questa annata, il motorsport sta tornando alle sue origini sentimentali: mettere il rischio al primo posto. Il limite, quella spasmodica ricerca che i campioni bramano e ricercano. La Formula Uno da un lato, con le nuove vetture. Indianapolis dall’altro, perchè non esiste gara più indecifrabile e al contempo estrema per un pilota. Ad Indianapolis non c’è margine d’errore. O vai, o vai a muro.
Ecco perchè questa sfida di Alonso piaceva, intrigava, preoccupava. Doveva imparare tutto l’asturiano: a guidare una Dallara Honda da Indycar, a guidare in un ovale, a spingere al limite in un ovale come Indy, e sopratutto, a riuscire a gestire tutte le fasi e le strategie di una corsa lunghissima. Tutto in mezzo ad altri tretatre piloti. Un sogno utopico, ma la bellezza era quella.
Per descrivere la 500 miglia di Indianapolis di Fernando Alonso, parole migliori come quelle di un collega storico delle 4 ruote come Mario Donnini probabilmente non esistono: “Comunque vada, Alonso è già nella storia”. Ha corso Fernando. Di più, è stato protagonista, riuscendo a conquistare la testa della gara in alcuni momenti. Non era spaesato, sperduto, nel mezzo di un marasma di piloti che vanno ad oltre 350 orari. No, in quel gioco sul filo del rasoio, sempre al limite, Fernando stava trovando la sua dimensione. Forse il colpaccio non sarebbe arrivato, ma il suo epilogo è di quelli che hanno l’amaro sapore della beffa.
Tradito, ancora una volta, da un motore Honda. Non è una disfatta, non puoi chiamarla cosi, ma è un finale che lascia l’amaro in bocca, quello si. Perchè Alonso è stato veloce, padrone della situazione, per 179 giri su 200. Poi quella rottura. Era un rischio calcolato, perchè i motori Honda avevano come tallone di Achille proprio la fragilità. Chiedere anche a Ryan Hunter-Reay.
“Davvero un peccato, ho capito subito che il motore si era rotto. Ha grippato e ho tirato immediatamente la frizione. Ho anche visto il fumo uscire dal retrotreno e ho capito che era tutto finito. Penso proprio meritassimo di finire la corsa per come l’avevo condotta.” Una beffa per lui nel giorno in cui però il Sol Levante fa festa grande. Ha vinto comunque la Honda, con la Dallara del team Andretti, guidata da Takuma Sato. Il samurai si è ripreso quanto avrebbe potenzialmente potuto conquistare pochi anni fa, quando proprio all’ultimo giro, nel tentativo di attaccare Franchitti, andò a muro. Stavolta no, ha recuperato negli ultimi passaggi, mettendosi dietro al giro 196 niente di meno che Helio Castroneves. Un trionfo per il giappone in una Indianapolis in cui gli incidenti sono stati grandi protagonisti.
L’esempio più evidente è stato sicuramente il crash tra Jay Howard e Scott Dixon. Il pole-sitter neozelandese è letteralmente decollato dopo aver preso in pieno la macchina di Howard, andata a sbattere contro il muro della Due. Decollo, macchina schiantata e distrutta contro le barriere interne. Pilota miracolosamente incolume. Un pericolo scampato per il pilota di Chip Ganassi. Quel pericolo, quella ricerca spasmodica del limite, della velocità assoluta che deve aver attratto anche lo stesso Alonso
“Mi piacerebbe tornare per ricorrere alla 500 Miglia di Indianapolis. Ora è troppo presto per fare certi tipi di discorsi, ma se tornerò saprò sicuramente molto di più perché ho già affrontato tante cose qui, saprò cosa aspettarmi. Mi sono divertito molto. Questa è stata una delle più belle esperienze di tutta la mia carriera”