Enzo Ferrari: 30 anni fa ci lasciava il signore delle corse [Video]
Il 14 agosto 1988 morì il creatore di quella straordinaria avventura che ancora oggi appassiona milioni di tifosi in tutto il mondo. Il film della sua vita attraverso le auto più importanti
Sono passati 30 anni dalla morte di Enzo Ferrari. Il 14 agosto 1988 quel personaggio vissuto per decenni sotto gli occhi e l’attenzione di tutto il mondo scomparve letteralmente senza che nessuno lo sapesse, esclusi parenti stretti, amici e collaboratori più vicini. Perché questo fu il suo desiderio, evitare che il proprio funerale diventasse occasione di spettacolo. Scelse di morire in silenzio, lui che aveva vissuto così a lungo in mezzo ai forti rumori dei bolidi da corsa.
Proviamo a tracciare un profilo sintetico di Enzo Ferrari utilizzando come punti di ancoraggio le automobili, la scelta più ovvia. Le vetture più significative che hanno rappresentato i momenti fondamentali della vita del creatore di un vero e proprio mito, parola abusata ma quanto mai adatta a rappresentare un tale colosso.
Le origini della passione
De Dion-Bouton 6 HP. Fu la prima auto di famiglia. Alfredo Ferrari, padre di Dino ed Enzo, titolare di una carpenteria a Modena, l’acquistò nel 1903. Il piccolo Enzo (era nato il 18 febbraio 1898) rimase affascinato da quell’oggetto meccanico e vi trascorreva accanto parecchie ore, cercando di scoprirne i segreti.
Fiat 28-40 HP Corsa. Il 6 settembre 1908 Alfredo Ferrari portò i figli ad assistere ad una corsa automobilistica a Bologna, la Coppa Florio (cosa differente dalla Targa siciliana, benché sempre organizzata dal conte Vincenzo Florio). Fu il primo incontro di Enzo col mondo delle corse. Fra i piloti più importanti dell’epoca pionieristica c’erano Felice Nazzaro e Vincenzo Lancia. Quel giorno, al volante della performante Fiat 28-40 HP Corsa, il primo vinse la gara e il secondo fece registrare il giro più veloce. Vedere sfrecciare eroi di quel calibro accese nella fantasia di quel bambino di dieci anni un sogno: diventare pilota.
Lancia 1Z. Dopo la guerra, persi padre e fratello per malattia e azienda familiare in rovina, Enzo si recò a Torino con una raccomandazione del suo ex colonnello per un posto alla Fiat, ma non c’era posto. Siamo nel 1919. Solo, deluso e privo di mezzi in una città inospitale, il 21enne modenese che voleva fare il pilota cercò di arrangiarsi. Trovò lavoro in una ditta che trasformava veicoli militari adattandoli all’uso civile, l’Officina Giovannoni. Il suo compito era collaudare i telai, la maggior parte derivati dall’autocarro Lancia 1Z. Li avrebbe guidati quotidianamente da Torino a Milano, dove si trovava la carrozzeria che doveva trasformarli.
Ferrari pilota – Ugo Sivocci e l’Alfa Romeo
CMN 15-20 HP. Fu proprio a Milano che, sempre nel 1919, in un bar luogo di ritrovo per appassionati di automobili, Enzo incontrò il collaudatore e pilota Ugo Sivocci (l’inventore del celebre simbolo del quadrifoglio Alfa Romeo). I due fecero amicizia e Sivocci convinse Ferrari a trasferirsi nel capoluogo lombardo per lavorare con lui alla CMN (Costruzioni meccaniche nazionali), neonata casa automobilistica. Il 5 ottobre di quell’anno Enzo Ferrari partecipò alla sua prima corsa: la Parma-Poggio di Berceto. Al volante della CMN 15-20 HP arrivò quarto di classe e undicesimo assoluto. Subito dopo, sulla stessa auto, affrontò la sua prima Targa Florio. Venne bloccato a lungo in un paesino perché si teneva un comizio, arrivò ultimo.
ALFA ROMEO RL. Enzo Ferrari ha sempre avuto quella rara capacità di capire in anticipo l’evolversi delle situazioni. Dopo il massacro alla Targa del 1919 egli intuì che la CMN non avrebbe potuto garantirgli un futuro, anche perché tutti i costruttori stavano rapidamente riconvertendo le produzioni. Si mise dunque in proprio, acquistando una Isotta Fraschini in società con un amico. Le corse di quell’anno l’avrebbero messo in evidenza come uno dei migliori fra i giovani piloti. Fu ancora Sivocci, passato all’Alfa Romeo, a suggerire alla casa milanese di ingaggiarlo. Nel 1920, al volante di un’Alfa 40-60 HP, ottenne un combattuto secondo posto alla Targa Florio. Nell’aprile del 1923 sposò Laura Garello, conosciuta nel periodo in cui viveva a Torino. La prima vittoria di Enzo Ferrari giunse il 17 giugno 1923: il Circuito del Savio, a Ravenna, su Alfa Romeo RL. L’8 settembre invece morì in un incidente a Monza proprio Sivocci, il suo mentore.
L’agitatore di uomini – La Scuderia Ferrari
ALFA ROMEO P3. Negli anni successivi Ferrari partecipò a molte gare nella squadra ufficiale dell’Alfa, al fianco di gente del calibro di Giuseppe Campari, Antonio Ascari, Achille Varzi e Tazio Nuvolari. Vinse alcune gare ma nulla poteva contro quei veri e propri assi del volante. Si rese conto presto che non avrebbe potuto continuare a correre, anche perché i contrasti con la moglie furono forti fin dall’inizio. Allora progressivamente si trasformò da pilota ad imprenditore, diventando rivenditore di automobili Alfa Romeo. Ma soprattutto scoprì la propria vena di organizzatore e dirigente, “agitatore di uomini”, come amava definire se stesso.
Fu così che nel 1929, 29 novembre, venne sancito l’atto formale di costituzione della Scuderia Ferrari. L’obiettivo era partecipare alle corse in forma privata utilizzando le vincenti vetture dell’Alfa Romeo. Enzo Ferrari continuò a correre ma sempre più sporadicamente, ritirandosi definitivamente pochi mesi prima della nascita di suo figlio Dino, nel 1932.
Poiché disponeva dei piloti migliori, delle auto più veloci e non le mancavano esperienza e capacità organizzative, la Scuderia cominciò presto a vincere. Fu quindi naturale che nel 1933 l’Alfa Romeo (appena acquisita dall’Iri e in procinto di ritirare la squadra ufficiale dalle corse), affidò ufficialmente alla Scuderia Ferrari il compito di portare in gara le vetture da corsa che il Portello avrebbe costruito, includendo anche compiti di sviluppo e sperimentazione.
L’auto più vincente di quegli anni fu l’Alfa Romeo P3, tecnicamente la Gran Premio Tipo B. Vinse ben 46 gran premi dal 1932 al 1936, la maggior parte dei quali ad opera di Tazio Nuvolari e con il simbolo del Cavallino rampante della Scuderia Ferrari applicato sul cofano. L’origine del Cavallino è storia nota. Nato come simbolo di un reparto di cavalleria dell’esercito, fu usato nella prima guerra mondiale dall’asso dell’aviazione Francesco Baracca, il quale lo applicava sui suoi aerei. Enzo Ferrari conobbe i genitori di Baracca quando ancora correva; la contessa Paolina, madre dell’aviatore perito nel conflitto, regalò il simbolo a Ferrari, invitandolo ad applicarlo sulle sue auto; “Le porterà fortuna”, gli disse con incredibile lungimiranza.
L’Alfa Romeo P3 diede a Ferrari fama internazionale. Ma dal 1936 le cose si fecero difficili, perché emersero gli squadroni tedeschi di Mercedes e Auto Union, rastrellando ben presto tutto ciò che c’era da vincere. Nel frattempo all’Alfa decisero di riprendersi il controllo della gestione sportiva. In una manovra proposta dallo stesso Enzo Ferrari, la casa milanese dunque acquisì la Scuderia per poi scioglierla, sostituendola col reparto Alfa Corse. Ferrari ne venne nominato direttore sportivo e portò in dote un gioiello come la 158, progetto sviluppato dalla Scuderia stessa; provvidamente nascosto nel periodo bellico, dopo il conflitto fu la base per il dominio dell’Alfa nella neonata Fomula 1. Comunque Ferrari non era tipo da sottostare alla tipica burocrazia di una grande azienda. Se ne andò nel 1939. Tuttavia l’Alfa lo obbligò contrattualmente a non costruire auto col proprio nome per almeno quattro anni.
Dalla Avio Auto Costruzioni alla Ferrari
FERRARI 125 S. Perché Enzo Ferrari si sentiva pronto per il livello successivo: voleva diventare costruttore. Così con il denaro della sostanziosa liquidazione incassata dal Portello impiantò una fabbrica a Modena. La chiamò Auto Avio Costruzioni. Poco dopo la trasferì a Maranello, avvalendosi di particolari agevolazioni normative. Fece in tempo a produrre una sola vettura, la Avio 815, affidandola al giovanissimo Alberto Ascari, figlio di Antonio, il quale la portò in corsa alla Mille Miglia del 1940. Ma si guastò. Subito dopo, la produzione venne convertita ad uso bellico poiché l’Italia stava per entrare nella seconda guerra mondiale. Cicatrizzate le ferite del conflitto, nel 1947 la vita cominciò a tornare quasi normale. Due anni prima era nato Piero, figlio di Enzo Ferrari e dell’amante Lina Lardi.
La Avio andò in soffitta e l’azienda potè chiamarsi finalmente Ferrari. Venne anche ricostituita la Scuderia Ferrari. La convenzionale data di nascita viene attribuita al giorno in cui la prima vettura esordì in gara. Era l’11 maggio 1947. Al Circuito di Piacenza il pilota Franco Cortese corse con la Ferrari 125 S, vettura di classe sport. Motore V12 1.5, telaio in tubolari di acciaio, la vettura venne progettata da Gioacchino Colombo, lo stesso ingegnere che creò l’Alfa Romeo 158. Un guasto mentre era in testa privò la nuova vettura di una vittoria meritata. La quale però arrivò nove giorni più tardi, al Circuito di Roma. Seguiranno numerosi successi nelle categorie Sport con la 166 MM, prime fra tutte la Mille Miglia del 1949 con Clemente Biondetti e la 24 ore di Le Mans dello stesso anno con Luigi Chinetti; il trionfo in terra francese sarà il primo dei 9 totali, mentre la Mille Miglia vedrà 7 successi complessivi per la scuderia di Maranello.
La Formula 1 e Alberto Ascari
FERRARI 375. Nel 1950 venne istituita la Formula 1 con relativo campionato del mondo, diventerà la massima serie dell’automobilismo. La Ferrari vi partecipò fin dall’inizio con la 125 F1 a motore compresso (progettato da Colombo e Aurelio Lampredi) e Alberto Ascari come pilota di punta; il giovane milanese aveva già vinto parecchie gare a livello nazionale nei due anni precedenti. Ma gli inizi furono sofferti, l’Alfa Romeo 158 dominava in lungo e in largo. Nel 1951 le cose migliorarono. La Ferrari 375 aveva un motore aspirato 4.5 che recuperò il gap di potenza sugli avversari. Era opera del solo Lampredi, Colombo era tornato all’Alfa. Al Portello avevano la 159, evoluzione del progetto d’anteguerra. La lotta fu serrata. Il 14 luglio a Silverstone l’argentino José Froilan Gonzalez conquistò la prima vittoria per la Ferrari in Formula 1, davanti ad un connazionale, un certo Juan Manuel Fangio. Nel resto della stagione solo nel finale Fangio riuscirà ad accaparrarsi il titolo mondiale, nei confronti di un agguerritissimo Ascari.
FERRARI 500 F2. Nel 1952 l’Alfa si ritirò dalla Formula 1. Cambiarono anche i regolamenti, per aumentare il numero di partecipanti. Si potevano usare telai di Formula 2 e motori aspirati da 2 litri o compressi da 750. Naturalmente parliamo di compressori volumetrici, i turbo erano di là da venire. Lampredi propose di abbandonare momentaneamente il V12 progettando un motore aspirato 2.0 a quattro cilindri da 165 cavalli, più leggero e robusto e dotato di maggiore coppia di un 12 cilindri di pari cilindrata. Progetto approvato dal capo di Maranello. Naque la Ferrari 500 F2.
Era il momento di raccogliere i frutti di tanto lavoro. Alberto Ascari asfaltò i rivali, vincendo tutti i 6 gran premi a cui partecipò (erano 8 in calendario, alla 500 miglia di Indianapolis corse con una 375 appositamente preparata ma si ritirò per un guasto; assente invece in Svizzera), diventando così campione del mondo. Assoluto bis nel 1953. La 500 F2 partecipò ad 8 gran premi su 9 (rinunciando alla 500 miglia di Indianapolis, come tutte le squadre europee), Ascari ne vinse 6, uno andò a Nino Farina e un altro a Mike Hawthorn. Unica beffa a Monza, dove Ascari ebbe un incidente e Farina arrivò secondo dietro a Fangio. Secondo titolo mondiale per Ascari.
Categoria Sport, l’altra faccia delle corse
FERRARI 250 GT. Arrivarono anni difficili per la Ferrari. Alberto Ascari decise di accettare il corteggiamento della Lancia e abbandonò Maranello. Nel frattempo nel 1954 arrivò la Mercedes schiacciando la concorrenza come un rullo compressore, ripetendosi nel 1955. La Ferrari si consolò con una lunga serie di affermazioni nelle categorie Sport, quelle più importanti ai fini dei bilanci aziendali. Infatti le vetture costruite per le corse di durata su pista e soprattutto su strada erano quelle accessibili ai facoltosi gentlemen drivers, i clienti sportivi che le acquistavano per correrci loro stessi. Mille Miglia, Targa Florio, 24 ore di Le Mans e 12 ore di Sebring erano le massime competizioni internazionali e facevano tutte parte del calendario del campionato mondiale sport prototipi, istituito nel 1953 e arrivato ad un certo punto ad essere più importante della Formula 1. La Ferrari si aggiudicherà il titolo per 12 volte.
Ricordiamo in questo periodo la 340 MM carrozzata da Vignale, su cui il conte Giannino Marzotto, il pilota in camicia e cravatta, vinse le maggiori gare del 1953. Era un bolide di tipo barchetta con un motore V12 4.1 derivato da quello della 375 F1, strapotente (300 cavalli) e domabile solo da piloti sopraffini. Ad essa si affiancherà la 375 MM Berlinetta Competizione, carrozzata Pininfarina, cilindrata 4.5 e potenza 340 cavalli, sviluppata soprattutto per Le Mans.
Ma è soprattutto un modello stradale a segnare una vera e propria pietra miliare: la Ferrari 250 GT, presentata al salone di Parigi del 1954, disegnata da Pinifarina; negli anni disporrà di diversi motori, telai e carrozzerie. Fu importantissima perché servì da base a tutte le vetture che dominarono nelle competizioni sport del decennio ’50-’60. Ma anche perché testimoniò il passaggio dalla produzione artigianale alla fabbricazione in serie e consolidò la fama della Ferrari come marchio di assoluta eccellenza nelle vetture sportive di lusso. L’espressione stessa “gran turismo” nasce qui.
Da essa derivarono due fra le icone assolute dell’automobilismo sportivo mondiale. La Ferrari 250 Testa Rossa uscì nel 1957 e vinse 3 volte a Le Mans. Anche la Ferrari 250 GTO del 1962 vinse sulla Sarthe per 3 volte. Prodotta in soli 39 esemplari, è oggi l’auto più ricercata dai collezionisti.
I lutti e i trionfi
FERRARI 156 F1. Alla fine del 1955 Mercedes e Lancia si ritirarono dalle competizioni sulla scia di due eventi luttuosi. La terribile sciagura di Le Mans con la morte di 83 spettatori e Pierre Levegh sulla Mercedes 300 SLR; poche settimane prima un incidente in una prova privata a Monza costò la vita ad Ascari. Gianni Lancia cedette alla Ferrari la vettura di Formula 1 D50 (che si era dimostrata competitiva contro le Mercedes) e tutto il materiale. Diventò nel 1956 la Ferrari-Lancia D50. Pilota di punta fu Juan Manuel Fangio, il quale vinse il mondiale dopo forti tribolazioni e contrasti con Enzo Ferrari, infatti se ne andò al termine della stagione. Quell’anno fu tremendo per il commendatore, perché morì il figlio Dino, portato via dalla terribile distrofia muscolare a soli 24 anni.
Non dobbiamo dimenticare la tragedia della Mille Miglia 1957, il 12 maggio quando a Guidizzolo, Mantova, la Ferrari 335 S di Alfonso De Portago uscì di strada per lo scoppio di una gomma e travolse gli spettatori, uccidendo 9 persone oltre al pilota e al meccanico Edmund Nelson. Enzo Ferrari fu violentemente indicato come responsabile della sciagura e venne processato per omicidio colposo, assolto con formula piena dopo quattro anni.
Arrivarono altri titoli iridati nella massima serie nel 1958 con Mike Hawthorn e nel 1961 con Phil Hill. Quest’ultimo anno fu particolarmente importante dal punto di vista tecnico. Infatti la Ferrari 156 F1, progettata da Carlo Chiti, fu la prima vettura di Maranello col motore posteriore centrale, soluzione adottata abbastanza in ritardo rispetto alla concorrenza. Arrivarono il titolo mondiale piloti e quello costruttori. E la Testa Rossa vinse anche il mondiale sport. Tuttavia la festa si trasformò in tragedia. Infatti a Monza in un incidente alla Parabolica morì Wolfgang von Trips, compagno di squadra alla Ferrari di Hill e suo primo rivale per il campionato. La sua vettura si schiantò contro le recinzioni, dove c’era del pubblico assiepato. Morirono 15 spettatori. La Ferrari vinse il mondiale di Formula 1 anche nel 1964 con John Surtees. Seguì un lungo digiuno.
Ford no. Daytona. Fiat sì
FERRARI 330 P4. Gli anni Sessanta, benché vincenti in particolare nella categoria Sport (6 mondiali endurance e 6 successi a Le Mans), furono alquanto tribolati dal punto di vista aziendale. Infatti le ridotte dimensioni della casa di Maranello non permettevano di affrontare serenamente un futuro industriale sempre più complesso e costoso. Diventava necessario un partner importante. Nel 1963 la Ferrari fu ad un passo dal vendere la maggioranza delle azioni alla Ford. Ma proprio al momento della firma Enzo Ferrari fece saltare l’accordo, poiché non tollerava le condizioni imposte da Detroit che non gli lasciavano indipendenza nella gestione delle corse.
Da quel momento la Ford diede fuoco alle polveri, usando tutta la sua potenza economica e industriale per battere in pista la Ferrari: campo di battaglia principale il circuito di Le Mans. Maranello spazzò via tutti dal 1963 al 1965; ma nel 1966 arrivò la Ford GT 40 e non ci fu più nulla da fare per quattro anni. Però la casa italiana si prese una grossa soddisfazione alla 24 ore di Daytona del 1967.
L’ingegner Mauro Forghieri firmò la Ferrari 330 P4. Lo stesso motore V12 4.0 della monoposto di Formula 1 da 450 cavalli; un’eccellente efficienza aerodinamica e un’ottima deportanza data dalla ridottissima altezza da terra rendevano la vettura veloce e stabile nel tri-ovale americano.
Affiancata dalla 330 P3/P4 (telaio dell’anno precedente) e dalla 412 P (la 330 P3/P4 per clienti privati) della scuderia NART di Chinetti, la Ferrari dominò la corsa in Florida. Grazie ad una felice intuizione del direttore sportivo Franco Lini, la casa di Maranello ottenne anche uno strepitoso colpo d’immagine, ordinando ai piloti (staccati l’uno dall’altro di parecchi giri) di arrivare sul traguardo in parata. Chris Amon e Lorenzo Bandini vinsero sulla 330 P3/P4, davanti a Mike Parkes e Ludovico Scarfiotti sulla P4 e a Pedro Rodriguez e Jean Guichet sulla 412. I giornali americani titolarono, in italiano: “Ferrari. Primo. Secondo. Terzo”. Pubblicità gratis in tutto il mondo grazie alle corse. Proprio il motivo per cui la Ford invidiava la Ferrari e avrebbe voluto comprarsela.
Però il futuro appariva fosco. Era più che mai indispensabile trovare un accordo con un grande costruttore. Nel 1969 allora si fece avanti la Fiat, già partner della casa di Maranello per la produzione della Dino. L’accordo tra Enzo Ferrari e Gianni Agnelli fu rapidissimo. La casa torinese comprò il 50% delle azioni assumendo il controllo dell’attività produttiva; il commendatore conservava completa autonomia sulla gestione delle competizioni.
Torna l’iride con Niki Lauda
FERRARI 312 T. Salvaguardato il futuro aziendale, Enzo Ferrari tornò a concentrarsi sulle corse. Le vetture di Maranello continuavano a vincere nelle gare sport ma l’epopea dell’endurance volgeva al termine e la Formula 1 stava per soppiantare le gare sport in cima alle preferenze di pubblico, costruttori e organizzatori. Nel 1974 Ferrari decise di abbandonare i prototipi per dedicarsi esclusivamente alla F1. Riorganizza profondamente la squadra corse, Forghieri è a capo della direzione tecnica e la gestione sportiva è affidata al giovane Luca Cordero di Montezemolo. Sceglie inoltre due piloti fissi per tutta la stagione. Torna lo svizzero Clay Regazzoni ed esordisce Niki Lauda, un giovane di grande talento e ambizione, nonché una speciale sensibilità nel capire la meccanica.
La monoposto 312 B3 è veloce e Niki vince in Spagna davanti a Clay. Un’altra vittoria a testa per entrambi. Lo svizzero contenderà il mondiale fino all’ultimo alla McLaren di Emerson Fittipaldi. Lauda sarà velocissimo in prova (9 pole position) ma collezionerà molti ritiri.
Nel 1975 alla terza gara arriva la nuova vettura, la Ferrari 312 T. Il motore era sempre il 12 cilindri boxer 3.0, aggiornato per erogare una potenza di 495 cavalli. La vera novità era il cambio trasversale che contribuiva ad equilibrare al meglio la macchina. Da Monaco in poi Niki Lauda mise le mani sul campionato, grazie a 5 vittorie e 9 pole position. Regazzoni vinse a Monza. La Ferrari tornò a vincere un campionato del mondo in Formula 1 dopo ben 11 anni di assenza.
Nel 1976 tutto faceva pensare ad un bis. La nuova vettura era la 312 T2, ancora migliore della precedente (erano sparite dalla F1 le enormi prese d’aria sopra la testa del pilota). Dopo 9 gare Lauda ne aveva già vinte 5. Ma poi arrivò quell’infausto Gran Premio di Germania al Nürburgring, il 1° agosto. L’austriaco andò a sbattere al secondo giro e l’auto prese fuoco. Altri piloti lo soccorsero appena in tempo. Gravi ustioni e i polmoni danneggiati lo segnarono per sempre.
Ma Lauda aveva una forte tempra e tornò in pista dopo due gare. James Hunt sulla McLaren stava recuperando punti in classifica, il ferrarista controllava a distanza. Nell’ultima corsa in Giappone, al Fuji, sotto una pioggia violenta, l’austriaco decise di ritirarsi nonostante gli sarebbe bastato un solo punto. Il mondiale piloti fu di Hunt ma la Ferrari conservò il titolo costruttori.
Polemiche feroci, Enzo Ferrari con un diavolo per capello ritiene l’austriaco finito come pilota; ingaggia Carlos Reutmann al posto di Regazzoni con l’idea di farlo diventare prima guida. Ma nel 1977 Lauda si era completamente ristabilito. Nonostante la presenza di temibili concorrenti per la 312 T2 come la Wolf di Jody Scheckter e la Lotus di Mario Andretti, l’austriaco attuò una saggia strategia che gli permise di essere molto costante. Al punto da rivincere il mondiale con due gare d’anticipo. Qui si consumò il divorzio con la Ferrari, altri furiosi litigi con il commendatore. Lauda scelse la Brabham di Bernie Ecclestone, ben appoggiata finanziariamente dallo sponsor Parmalat.
La meteora Gilles Villeneuve
FERRARI 312 T4. Per le ultime due gare della stagione 1977 Ferrari ingaggiò un giovane promettente canadese, Gilles Villeneuve. Nel 1978 Le Lotus-Ford ad effetto suolo di Andretti e Ronnie Peterson erano troppo forti. La Ferrari fece esordire la 312 T3 e Reutmann si comportò onorevolmente vincendo 4 gare, ma era troppo poco. Villeneuve si mise in luce per velocità, grande ardimento e una certa dose di follia che lo portavano spesso ad andare oltre i limiti. Ma diventò presto il beniamino dei tifosi. E probabilmente dello stesso Enzo Ferrari. Riuscirà comunque a vincere la gara di casa a Montreal.
Nel 1979 la musica cambiò. Reutmann venne sostituito da Jody Scheckter e venne schierata la Ferrari 312 T4. Bruttarella da vedere, non riusciva ad ottenere un effetto suolo particolarmente elevato a causa delle dimensioni del motore boxer che sporgevano troppo di lato. Ma la straordinaria potenza del propulsore (515 cavalli), il grande bilanciamento della vettura permesso dal cambio trasversale, il baricentro più basso dovuto ai cilindri contrapposti del boxer e le migliori gomme Michelin formavano un pacchetto complessivo superiore alla concorrenza.
La Ligier di Jacques Laffite e la Williams di Alan Jones furono gli avversari più temibili. Ma la vera lotta per il campionato restò interna alle due Ferrari. Villeneuve cominciò meglio, Scheckter s’impose sulla distanza. Vinsero entrambi tre gare ma il sudafricano seppe conquistare piazzamenti preziosi che avrebbero fatto la differenza. A Monza fu una doppietta che molti tifosi ricordano ancora oggi: Scheckter davanti a Villeneuve vinse matematicamente il titolo e le due rosse arrivarono in parata.
Le stagioni 1980 e 1981 furono del tutto negative per la Ferrari. Ma di quest’ultima stagione, in cui il francese Didier Pironi prese il posto di Scheckter, dobbiamo ricordare le vittorie di Villeneuve a Monaco e in Spagna. A Montecarlo recuperò alla grande su Jones in crisi di benzina e fu la prima vittoria su quel tracciato di un motore turbo; a Jerez riuscì a resistere ai tentativi di sorpasso di quattro avversari, precedendoli sul traguardo per pochi decimi di secondo. Furono le ultime due vittorie della sua carriera, 6 in totale.
Nel 1982 la macchina era di nuovo competitiva. La 126 C2 era la seconda dell’era turbo per il Cavallino e sarebbe stata l’ultima con le minigonne, vietate dall’anno successivo. Ma quella stagione era avvelenata in partenza. Spietate lotte politiche tra i team inglesi e i costruttori ufficiali (Ferrari, Renault e Alfa Romeo) portarono ad alcune manovre di boicottaggio. Ad Imola, terza gara, gli inglesi rifiutarono di correre. Se la giocavano Ferrari e Renault, però le due vetture francesi si guastarono presto. Allora le Ferrari si trovarono praticamente da sole in pista, Villeneuve davanti a Pironi. Dal box esposero il cartello “slow”, rallenta. Il canadese lo interpretò come un segnale di congelamento delle posizioni, il francese solo come avvertimento di non maltrattare la vettura. Così Pironi superò Villeneuve quando quest’ultimo non se lo aspettava. Controsorpasso, contro-controsorpasso. Vinse Pironi, Villeneuve sul podio era nero di rabbia. Nei giorni successivi avrebbe litigato furiosamente con la squadra, si sentiva tradito. Il compagno di squadra diventò il nemico numero 1, in senso cattivo.
Si arrivò così in Belgio a Zolder. Qualifiche, 8 maggio 1982. A pochi minuti dal termine Gilles era al box, si fece mostrare i tempi. Pironi era davanti. Il canadese non ci vide più e si fiondò di nuovo in pista. Poi a quella tragica chicane il malinteso con la March di Jochen Mass. Collisione, la Ferrari in decollo che si spezzò in due nell’impatto al suolo, le cinture che non si sa come non tennero il pilota, Villeneuve sparato fuori, il colpo contro un paletto della recinzione, rottura della vertebra cervicale, la morte sopravvenuta in serata in ospedale.
Ma le sofferenze per la Ferrari non erano finite. Didier Pironi era in piena corsa per il mondiale, vinse un’altra gara ma poi anche per lui ci fu in incidente gravissimo. In Germania, ad Hockenheim, durante le prove libere del sabato mattina, il 7 agosto, pioveva molto forte. Il ferrarista non vide la Renault di Alain Prost e la tamponò in modo molto violento. Anche in quel caso la vettura decollò. Ma Pironi riuscì a sopravvivere, benché le tremende ferite alle gambe terminarono anzitempo la sua carriera in Formula 1. Il titolo piloti fu vinto da Keke Rosberg sulla Williams. La Ferrari riuscì comunque ad aggiudicarsi il mondiale costruttori, campionato che avrebbe vinto anche nel 1983 con l’arrivo di René Arnoux e Patrick Tambay.
Gli ultimi anni. Le supercar
FERRARI F40. Enzo Ferrari si avviava al termine della sua vita. Le corse non gli riservarono più delle soddisfazioni. Solo nel 1985 la monoposto 156-85 fu competitiva nella prima parte della stagione, in cui Michele Alboreto contese il primato ad Alain Prost e alla sua McLaren-Porsche. Ma poi scelte errate sulla fornitura dei turbocompressori compromisero l’affidabilità del motore. Arrivarono rotture a ripetizione e per Alboreto non ci fu più nulla da fare.
Gli ultimi sussulti vennero invece dalla produzione stradale. Infatti, per ricacciare indietro una concorrenza che costruiva auto sempre più veloci, Ferrari pretese una vettura estrema, dotata delle tecnologie più avanzate. Affidò il compito di dirigerne la progettazione a Forghieri. Siamo nel tardo 1983, l’ingegnere di mille battaglie aveva appena lasciato la gestione sportiva. Nello sviluppo vennero coinvolti perfino i due piloti della Scuderia, Arnoux e il neoacquisto Alboreto. Dopo pochi mesi ecco la favolosa Ferrari 288 GTO, la prima supercar di Maranello in senso moderno. Ne verranno prodotti e venduti immediatamente solo 274 esemplari. Disegno di Pinifarina, carrozzeria in materiali compositi come il kevlar, iniezione elettronica derivata dalla F1, motore V8 2.9 biturbo da 400 cavalli, 305 Km/h di velocità massima. Inarrivabile.
Ma era solo un allenamento. La vetta più estrema sarebbe stata raggiunta nel 1987, in occasione dei 40 anni dell’azienda. La Ferrari F40 era il gradino immediatamente precedente ad un’auto da corsa (sebbene Alboreto, quando gli chiesero se fosse come una F1, rispose “neanche da lontano”, tanto per far capire la realtà delle competizioni). Carrozzeria ancora di Pinifarina, progetto meccanico di Nicola Materazzi. Il V8 2.9 biturbo raggiungeva 478 cavalli. Telaio tubolare in acciaio rinforzato da materiali compositi, anche qui kevlar in abbondanza, soluzione impiegata solo in F1; rigidità torsionale il triplo della migliore altra vettura stradale, sospensioni regolabili. Peso di soli 1.100 Kg, 324 Km/h, 0-100 in 4,1 secondi. Rimase a lungo l’auto più veloce del mondo. Volevano produrne solo 400, poi diventarono 1.337 per questioni commerciali con l’importatore americano.
Fu l’ultimo sussulto di Maranello sotto la supervisione di Enzo Ferrari, sempre più malato e distante dalla gestione dell’azienda. Il grande vecchio se ne andò a 90 anni, 30 anni fa, in quel sommesso giorno d’agosto.