Emissioni auto: Ue, taglio CO2 ancora più drastico
Il Parlamento europeo ha approvato una proposta che renderebbe ancora più pesanti i limiti sulle emissioni delle auto nuove nei prossimi anni. Obiettivi non realistici, auto elettriche non ancora pronte, a rischio milioni di posti di lavoro
Come leggere la proposta del Parlamento europeo che vuole appesantire i limiti alle emissioni auto? Un colpo di coda di politici disperati perché temono di perdere la poltrona e i privilegi annessi: sanno che per le elezioni europee del 2019 è molto probabile un forte spostamento nelle preferenze dell’elettorato, quindi cercano di assecondare le fasce più oltranziste in tema ambientale, quelle che fanno rumore. Osservando il contenuto del provvedimento approvato dal Parlamento europeo il 3 ottobre e la composizione dei voti a favore, è la deduzione più logica.
Emissioni auto: il Parlamento UE vuole limiti più severi
In sintesi, questa è la proposta deliberata dall’organo di Strasburgo: le emissioni di CO2 di veicoli nuovi (autovetture e veicoli commerciali leggeri) dovranno ridursi del 20% entro il 2025 e del 40% entro il 2030, rispetto ai livelli stabiliti dal 2021, pari a 95 grammi per Km. Questa decisione peggiora il contenuto di quanto invece aveva proposto la Commissione europea, il cui testo costituiva l’oggetto di votazione. Infatti Bruxelles aveva indicato quote rispettivamente del 15% e del 30%. Ma non basta: i parlamentari europei hanno anche chiesto che dal 2030 il 35% delle auto nuove vendute sia con alimentazione ibrida o elettrica.
Hanno votato a favore (389 voti su 751 deputati totali) i raggruppamenti di sinistra dell’emiciclo di Strasburgo: Socialdemocratici, Liberaldemocratici, Verdi, Sinistra europea, metà del Gruppo Europa libertà e democrazia diretta, Verdi; ma anche una quota minoritaria del Partito popolare europeo, teoricamente collocato dalla parte opposta: si tratta soprattutto, ma non solo, dei membri francesi (solo due italiani).
Hanno votato contro (239 voti): la larga maggioranza del PPE, Conservatori e riformisti, metà del Gruppo nazioni e libertà; l’altra metà di quest’ultimo gruppo si è astenuta, insieme a parlamentari sparsi (40 le astensioni totali).
L’approvazione di questo documento non è una legge ma una proposta. Ora il testo dovrà essere discusso e contrattato con il Consiglio europeo, cioè i rappresentanti delle singole nazioni. Successivamente tornerà a Strasburgo per una seconda votazione, quella definitiva. Le posizioni dei governi sono variegate. La Germania si è dichiarata totalmente contraria, sostenendo invece la proposta originale della Commissione, meno draconiana anche se già pesante.
La Francia invece preme dalla parte opposta, vorrebbe limiti ancora più severi. Il Regno unito è diviso: il Governo aveva indicato di votare a favore, invece gli europarlamentari inglesi hanno votato contro. E l’Italia? Non risulta al momento una presa di posizione ufficiale da parte del Governo su questo provvedimento specifico; ma le posizioni del ministro dell’ambiente Sergio Costa sono note, vuole un inasprimento dei limiti. E nuovamente abbiamo assistito a due visioni opposte da parte degli europarlamentari governativi: 5 stelle a favore, Lega per metà contraria e per metà astenuta, quindi comunque abbastanza scettica.
Perché le auto elettriche non sono ancora pronte
Se questo provvedimento dovesse veramente trasformarsi in una direttiva (quindi una norma che i parlamenti nazionali dovrebbero obbligatoriamente adottare entro due anni, pena sanzioni), le difficoltà per i costruttori sarebbero enormi. La tecnologia dei motori a combustione ha fatto passi da gigante nella riduzione di tutte le emissioni inquinanti. Ma incrementi ulteriori nell’efficienza non possono più essere significativi, ormai si è arrivati vicini al termine dell’evoluzione nei motori a scoppio, sia a benzina che diesel. E anche sul metano non si può progredire un gran che.
L’unico modo per rispettare quei parametri in un arco di tempo così limitato sarebbe passare in massa all’improvviso alle auto elettriche. Una pretesa che non ha legami con la realtà. Le auto elettriche sono molto più costose di quelle tradizionali, a parità di energia richiesta, perché se ne vendono pochissime. Le auto elettriche si vendono poco perché, oltre ad essere costose, le loro batterie fanno percorrere pochi chilometri e i tempi di ricarica sono troppo lunghi; Inoltre un’auto elettrica richiede molta più energia di una tradizionale perché pesa di più, molto di più.
Le stazioni di ricarica sono ancora troppo poche. E poi chi dovrebbe sostenere il costo di questa infrastruttura? Le amministrazioni pubbliche o i costruttori? E perché dovrebbero pagarle tutti i cittadini con le tasse, quando a guadagnarci sarebbero dei soggetti privati? Semmai dovrebbero essere loro ad investire. In parte lo stanno facendo, ma si tratta di gocce nell’oceano.
Emissioni auto, l’Ue aiuta solo la Cina
Per quanto riguarda le batterie delle auto elettriche, forse qualcuno a Strasburgo, troppo abituato a viaggiare a spese della collettività, non sa o fa finta di non sapere che il mercato mondiale è in mano alla Cina, perché la Cina si è mossa prima e meglio degli altri nell’accaparrarsi la maggior parte delle fonti da cui vengono estratte le materie prime utilizzate per fabbricare le preziose pile. Miniere di cobalto su tutte. E’ soprattutto per questo che la Cina sta spingendo perché il suo mercato, ormai il più grande del mondo, passi rapidamente alla mobilità elettrica. Perché ha un enorme vantaggio competitivo sul resto del mondo. Bravi loro. Quindi hanno le batterie e se le tengono.
Solo gli investimenti privati creano posti di lavoro. Cosa che una certa area politica proprio non riesce a comprendere, per motivi talmente ideologici da essere diventati religiosi. Vanno avanti così da un secolo, ormai ce l’hanno impresso nel DNA. Perché l’unica conseguenza pratica del provvedimento varato il 3 ottobre, se dovesse effettivamente trasformarsi in legge, sarà un appesantimento insostenibile dei costi per le industrie. Per abbattere la CO2 (anidride carbonica) in quelle proporzioni e con queste tempistiche, sono possibili solo i seguenti scenari.
1) Si producono motori a combustione talmente limitati (meno potenza = meno emissioni) che nessuno comprerebbe; perché tutti vogliono i SUV, veicoli molto pesanti e alti, quindi aerodinamicamente svantaggiati, quindi ad alti consumi; comico, viaggiare in modo decente a pieno carico su un coso da due tonnellate con la potenza di una Topolino; di conseguenza, enorme riduzione di vendite e profitti. 2) Si producono prevalentemente veicoli elettrici, le cui batterie sono di difficile approvvigionamento e la cui rete di ricarica è ancora insufficiente, per cui saranno pochi e costosissimi; di conseguenza, ancora enorme riduzione di vendite e profitti.
Riduzione delle emissioni auto o dei posti di lavoro?
Invece in Cina controllano tutte le materie prime, hanno il mercato più grande e inducono i costruttori a fabbricare le auto da loro, usando l’antica e sempre efficace tattica della carota e del bastone. Indovinate dove i costruttori preferiranno investire? Il risultato per l’Europa sarebbe uno solo: licenziamenti, fuga di capitali, altri licenziamenti, nessuna risorsa per investire nelle nuove forme di mobilità, povertà diffusa. Andate a parlare della CO2 a chi resta senza uno stipendio. Ci sarebbe da ridere, se la situazione non fosse tragica. Ma chi se ne frega, sono solo 13,3 milioni di persone a lavorare nell’industria automobilistica europea. Vuoi mettere l’importanza di quattro orsi polari? Ma l’ironia della faccenda è che in ogni caso i livelli di CO2 non diminuirebbero, perché si continuerebbe ad usare prevalentemente vecchi veicoli a benzina, i quali emettono più CO2 dei diesel. L’alternativa del metano aiuterebbe, ma non nelle dimensioni che vaneggiano i parlamentari Ue. Però verrebbe facilitato l’obiettivo del 35% di auto nuove solo elettriche o ibride: riducendo drasticamente il totale di auto nuove.
Le preoccupazioni dei costruttori
Questo scenario non è una nostra invenzione. L’associazione dei costruttori europei, Acea, si è mostrata giustamente preoccupata per la decisione del Parlamento europeo. Il suo segretario generale, Erik Jonnaert, ha detto chiaro e tondo: “Non esiste garanzia che noi possiamo mettere in piedi l’adeguata impalcatura per facilitare una transizione così improvvisa verso la mobilità elettrica. I consumatori non possono essere obbligati a comprare auto elettriche senza incentivi o la necessaria infrastruttura. Possiamo solo sperare che i governi nazionali portino un po’ di realismo sul tavolo“.
Dello stesso tenore allarmato è il commento di Aurelio Nervo, presidente dell’Anfia, associazione della filiera automobilistica italiana: “Anfia esprime tutta la sua forte preoccupazione per l’esito del voto di oggi, ritenendo non sostenibili per la filiera produttiva automotive target così aggressivi. Quanto emerso dalla votazione produrrà un impatto pesantemente negativo sull’occupazione in tutta la filiera produttiva, forzando l’industria a mettere in atto una radicale trasformazione in tempi record e in assenza di un adeguato quadro di condizioni abilitanti per la transizione verso una mobilità a impatto zero, che non tiene in alcun conto il principio di neutralità tecnologica. Le infrastrutture di ricarica sono fortemente carenti in Europa e in Italia, fattore che, insieme ai costi ancora elevati dei veicoli elettrici, mette in difficoltà anche i consumatori“.
Sperare nei governi nazionali non ci tranquillizza un gran che. E nemmeno attendere che il nuovo Parlamento Ue del 2019 rovesci la situazione cancellando quell’eventuale norma, favorendo invece un graduale ricambio e una maturazione in tempi naturali delle nuove tecnologie. Perché quando un divieto viene imposto, poi non c’è più nessuno che lo rimuova. Come le tasse. E ricordiamolo: i politici vanno in giro quasi sempre con un’auto ministeriale (nazionale o europea, poco cambia) guidata da un autista, entrambi a spese nostre.