Formula 1, i migliori piloti della storia: Lauda [Video]
I burrascosi anni alla Ferrari, il terribile incidente al Nürburgring e l’epico duello con James Hunt, il primo ritiro e la conclusione della carriera alla McLaren. Le vicende in Formula 1 di Niki Lauda, uno dei migliori piloti della storia
Una vicenda controversa, quella di Niki Lauda, soprattutto per gli anni burrascosi trascorsi alla Ferrari, immortalati anche da un film di Hollywood, “Rush” (“veritiero all’80%”, lo ha definito lo stesso Lauda). Ma il campione austriaco merita certamente di appartenere alla galleria dei migliori piloti della storia in Formula 1, quindi è doveroso includerlo nella nostra miniserie. Carattere duro e metodico, enorme sensibilità nel capire l’auto e contribuirne allo sviluppo, Niki ha combattuto per cominciare a correre e per continuare a farlo dopo il terribile incidente del Nürburgring. Tra alti e bassi, la sua carriera resta straordinaria.
Formula 1, Niki Lauda: le statistiche
Niki Lauda ha corso in Formula 1 dal 1971 al 1985, non in tutte le stagioni, le quali ammontano a 13 (si ritirò brevemente una prima volta nel 1980 e 1981). Ha preso il via in 171 gare. Il suo palmarès vede la vittoria di 3 titoli mondiali e 25 gran premi. Si aggiungono 24 pole positions e 24 giri più veloci in gara. In 54 corse è salito sul podio, includendo quelle vinte. Quindi i numeri assoluti da soli bastano a collocare il pilota austriaco tra i maggiori campioni in ogni epoca.
Come titoli mondiali lo superano solo Schumacher, Fangio, Hamilton, Prost e Vettel. Ha lo stesso numero di Brabham, Stewart, Piquet e Senna; i primi due lo sopravanzano perché hanno vinto precedentemente, quindi Niki è ottavo in questa particolare classifica. A livello di gran premi si trova al 10° posto. Davanti a lui ci sono Schumacher, Hamilton, Vettel, Prost, Senna, Alonso, Mansell e Stewart; ha invece lo stesso numero di vittorie di Clark, tuttavia vale lo stesso criterio cronologico, quindi lo scozzese si colloca davanti.
Tuttavia questi numeri non costituiscono altro che una curiosità aritmetica. Come si può confrontare Lauda con gli altri fra i migliori piloti nella storia della Formula 1? Premesso che tali paragoni sono sempre molto azzardati, perché sono troppe le differenze tra le varie epoche in termini tecnici, di sicurezza e regolamentari, l’unico parametro abbastanza attendibile è quello della percentuale di vittorie in rapporto ai gran premi disputati. Allora, sempre filtrando tra chi ha almeno 10 vittorie, osserviamo che Lauda ha il 14,62% di gran premi vinti; cifra che lo pone al 14° posto assoluto.
Non è quindi una performance tra quelle stellari (ma molti piloti venderebbero la madre per arrivarci solo vicino); più che il famigerato incidente del 1976 dal quale si ristabilì a tempo di record, pesano le sue decisioni nello scegliersi la squadra in cui correre. Tradotto: l’aver lasciato la Ferrari alla fine del 1977; un grave errore, come lui stesso avrebbe riconosciuto parecchi anni più tardi. Tale decisione lo mise fuori dal giro delle macchine migliori e nel 1980 si trovò essenzialmente a piedi per questo. Anche le scelte strategiche rientrano nelle doti complessive di un pilota, quindi vanno valutate. Naturalmente è molto facile giudicare dall’esterno a decenni di distanza. Nonostante questi errori, Lauda resta uno fra i migliori di tutti i tempi.
Formula 1, gli inizi di Niki Lauda
Niki Lauda (il suo nome formale è Andreas Nikolaus) è nato a Vienna il 22 febbraio 1949. La sua famiglia era molto facoltosa, imprenditori e banchieri dell’alta società viennese. Tuttavia da essi non ricevette alcun supporto nella sua scelta, compiuta da ragazzino, d’intraprendere la professione di pilota automobilistico: non stava bene, il nome della famiglia ne sarebbe stato compromesso, secondo l’ottica dei genitori. Quindi il giovane Niki ruppe molto presto con la famiglia e se ne allontanò. Lasciò la scuola, ottenne alcuni prestiti dalle banche e finanziò l’avvio della propria carriera. Cominciò a correre con le Mini, poi passò alle monoposto minori arrivando alla Formula 3, senza tuttavia serie prospettive di andare oltre, per questioni di budget.
Serviva quindi ancora denaro. Lauda riuscì ad ottenere un ulteriore finanziamento bancario di 30.000 sterline, coperto da un’assicurazione sulla vita. Con quei soldi essenzialmente “comprò” un sedile nella scuderia March in Formula 2 (accadeva anche allora, accadrà sempre, perché le corse sono un affare molto costoso in qualsiasi epoca). Era il 1971. Il ragazzo aveva stoffa, si vedeva subito: nei primi test girò infatti più velocemente del compagno di squadra, nientemeno che Ronnie Peterson. Quindi il team gli fece presto provare anche la monoposto di Formula 1, sulla quale esordì in gara il 15 agosto nel Gran Premio d’Austria a Zeltweg, ritirandosi quasi a metà gara.
Nel 1972 Lauda e Peterson furono i piloti titolari della March sia nel campionato di F2 che in F1. Ma la vettura di F1 era disastrosa e non arrivarono risultati; tuttavia Lauda mostrò in F2 le sue doti come pilota regolare e molto abile nella messa a punto. Il futuro alla March non appariva roseo, quindi Niki decise di ricorrere ad un altro prestito e prenotare un posto alla BRM in F1 per la stagione 1973, dove fece coppia con Clay Regazzoni. I buoni piazzamenti iniziali dell’austriaco gli valsero un contratto vero con la BRM per il 1974.
Formula 1, Niki Lauda alla Ferrari
Terminata la stagione 1973 Regazzoni lasciò la BRM per tornare alla Ferrari; il compianto pilota svizzero aveva subito parlato in termini positivi al commendatore di quel giovane ambizioso, capace di trovare immediatamente i punti deboli delle macchine e indirizzare a colpo sicuro il lavoro dei tecnici. Enzo Ferrari si convinse e convocò Niki Lauda a Maranello, offrendogli un contratto; pochi soldi, ma bastarono per coprire le penali per la rottura del contratto con la BRM e i debiti precedenti di Niki.
La stagione 1974 cominciò bene per Niki Lauda. La Ferrari 312 T era ancora in fase di sviluppo ma si rivelò subito veloce. L’austriaco esordì in Argentina con un secondo posto e vinse il suo primo gran premio in Spagna a Jarama. Vinse anche in Olanda e si trovò a competere per il titolo mondiale, insieme a Clay, Emerson Fittipaldi su McLaren e Jody Scheckter sulla Tyrrell. Però Lauda collezionò anche troppi ritiri, prevalentemente per cause meccaniche. Quindi rapidamente le possibilità nel campionato svanirono. Terminò la stagione al quarto posto. Ma il mondo della Formula 1 aveva trovato un nuovo grande talento, testimoniato oltre che dalle due vittorie anche dalle 9 pole positions conquistate in quella stagione.
Nel 1975 la Ferrari 312 T aveva raggiunto la maturità; ebbe un avvio faticoso ma presto s’impose come la macchina da battere. Da Monaco in poi Lauda infilò quattro vittorie e un secondo posto che gli permisero di gestire senza problemi il resto della stagione. Il terzo posto a Monza gli fece conquistare matematicamente il primo titolo mondiale, un trofeo che la Ferrari non vinceva dal lontano 1964. Il successo anche nell’ultimo gran premio stagionale negli Stati Uniti a Watkins Glen portò a 5 le vittorie totali di Lauda in quella trionfale annata.
Niki Lauda 1976, l’incidente e il duello con James Hunt
Le vicende della stagione 1976 sono state raccontate innumerevoli volte, perfino al cinema. La Ferrari 312 T era ancora la macchina migliore, quindi Lauda cominciò a spron battuto aggiudicandosi i primi due gran premi, mentre si classificò secondo nel terzo. Dal GP di Spagna cambiarono i regolamenti sulle dimensioni delle vetture e la loro altezza da terra; furono eliminate anche le grosse prese d’aria superiori (“periscopi” o “asciugacapelli” a seconda dei gusti). Quindi la Ferrari fece esordire la 312 T2, evoluzione sempre vincente. Lauda arrivò secondo dietro James Hunt, pilota della McLaren col quale l’austriaco condivise gli esordi in Formula 3 e al quale restò sempre amico. Ma in pista la rivalità fu molto forte quell’anno.
Hunt effettivamente fu l’unico in grado di contenere il campione del mondo in carica; non l’altro ferrarista Regazzoni e nemmeno il sudafricano della Tyrrell Jody Scheckter. Ad ogni modo Lauda vinse ancora in Belgio e a Monaco; in Gran Bretagna un grosso incidente al primo giro causò l’interruzione della gara e la successiva ripartenza. Hunt, coinvolto, ripartì col muletto e andò a vincere, mentre Lauda terminò secondo. Tuttavia la ripartenza di Hunt era vietata dal regolamento, però la direzione di gara gli permise ugualmente di continuare e respinse i reclami. Per tutta l’estate la situazione rimase ferma. Solo il 24 settembre la FIA decise di squalificare Hunt, quindi la vittoria andò a Lauda.
Ma anche con la differenza in classifica nota in quel momento, 22 punti di vantaggio, l’austriaco pareva già avere il mondiale quasi in tasca. Però il 1° agosto 1976 si corse in Germania al Nürburgring Nordschleife, l’inferno verde. Che si trasformò in un vero inferno di fuoco per Niki Lauda. Hunt conquistò la pole position davanti al ferrarista. Poco prima della partenza aveva piovuto e quasi tutti cominciarono la gara con gomme da bagnato. Però nel corso del primo giro la pista si stava asciugando, quindi molti rientrarono al box per montare le slick, compreso Niki. Al secondo giro, alla Bergwerk, una curva a sinistra abbastanza secca che però si prendeva a circa 200 Km/h, la Ferrari di Lauda toccò il cordolo e s’intraversò bruscamente in uscita. Ancora oggi le cause di quell’incidente sono poco chiare.
La macchina si schiantò contro il guardrail e prese fuoco; dopo l’impatto rimbalzò di nuovo in pista, fu evitata dalla Hesketh di Guy Edwards ma urtata dall’altra Hesketh di Harald Ertl e dalla Surtees di Brett Lunger. Dopo queste altre due collisioni, il casco di Lauda saltò via, esponendo la testa alle fiamme. I tre piloti qui citati scesero e andarono a soccorrere il ferrarista, intrappolato nelle fiamme e privo di conoscenza. Sopraggiunse subito dopo anche Arturo Merzario, in quella gara al volante di una Wolf Williams. Il milanese si fermò e si aggiunse ai soccorritori; fu lui a gettarsi letteralmente nel fuoco (appena attenuato dal getto dell’estintore del primo dei commissari arrivati, ma ancora molto forte) per estrarre Lauda dall’abitacolo. Diversi secondi furono impiegati per slacciare le cinture di sicurezza, anch’esse inceppate. Senza l’intervento di questi piloti, Niki Lauda sarebbe certamente morto tra le fiamme.
Il ferrarista fu trasportato in ospedale in elicottero. Dopo la ripartenza, la corsa venne vinta da Hunt. Lauda appariva in condizioni quasi disperate. Le pesanti ustioni in molte parti del corpo, soprattutto alla testa, non erano il problema peggiore. Ciò che lasciò il pilota per diversi giorni in pericolo di vita fu lo stato dei suoi polmoni, sia per l’aver respirato i fumi tossici dell’incendio che per aver inalato direttamente i residui di materiali polverizzati dalle fiamme. Furono necessarie diverse sessioni (molto dolorose) di aspirazione tramite una sonda, una tecnica che all’epoca si trovava ancora in fase sperimentale. I danni furono comunque permanenti, al punto che nel 2018 si è reso necessario un trapianto.
Lauda, il ritorno da record e l’inseguimento di Hunt
Ma l’austriaco aveva una volontà di ferro e riuscì a superare la fase critica. Ne uscì col volto irrimediabilmente sfigurato, ma vivo e in grado di riprendersi. Il recupero avvenne in tempi strabilianti: Lauda saltò solo due gran premi. Tornò in pista, ancora dolorante, a Monza, il 12 settembre, solo 43 giorni dopo l’incidente. Nel frattempo Hunt, con un’altra vittoria e un quarto posto, si era portato a soli due punti di distacco (la squalifica per il GP di Gran Bretagna non gli era ancora stata inflitta). Ma nelle prove ufficiali sul circuito brianzolo l’inglese ebbe un incidente che gli impedì di qualificarsi per il gran premio. Venne fatto partire ugualmente, però ebbe un altro incidente dopo undici giri e si ritirò. Lauda guidò di conserva e terminò quarto. Senonché, come detto, il 24 ottobre la FIA decise di squalificare Hunt per la ripartenza in Inghilterra. Quindi con la nuova classifica Lauda balzava a +14: aveva nuovamente il mondiale in mano a tre gare dal termine. Addirittura avrebbe potuto chiudere il discorso in anticipo se avesse vinto il successivo gran premio in Canada.
Ma James Hunt in quel periodo era incontenibile, oltre ad essere nero per la squalifica. La McLaren-Ford Cosworth, pur non essendo al livello della Ferrari, lo supportava adeguatamente. Inoltre Niki Lauda non aveva ancora ritrovato il completo feeling con la vettura; comprensibile, dato quello che aveva passato. Sta di fatto che sulla pista di Mosport Park l’austriaco non riuscì ad essere incisivo e terminò la gara all’ottavo posto, quindi niente punti. Bottino pieno invece per Hunt con pole position e vittoria. Nella gara successiva, negli USA a Watkins Glen, Hunt vinse ancora, mentre Lauda finì terzo. La Ferrari vinse il mondiale costruttori.
Si arrivò così all’epilogo in Giappone, il 24 ottobre al Fuji. Lauda aveva ancora un vantaggio di tre punti; un pareggio avrebbe premiato Hunt perché aveva una vittoria in più, 6 contro 5. All’epoca il vincitore prendeva 9 punti. Ma quella domenica si scatenò una violenta pioggia che allagò letteralmente la pista. La partenza fu rinviata di un paio d’ore. All’ora prevista le condizioni non erano ancora accettabili. Altri 90 minuti di rinvio. Dopo un lungo tira e molla sull’opportunità o meno di annullare la gara, fu deciso di partire comunque, dimezzandone la durata. James Hunt, partito secondo, soffiò subito la prima posizione al poleman Mario Andretti e s’involò solitario.
Le condizioni della pista erano ancora infami. Lauda, già decimo, al secondo giro decise di rientrare ai box e ritirarsi. Non riteneva la situazione del tracciato accettabile per proseguire la corsa. La beffa fu che più tardi la pioggia cessò e la pista cominciò ad asciugarsi. La direzione gara decise di ripristinare il numero di giri originale. James Hunt perse il comando a causa di problemi con le gomme, gli conveniva rallentare: sarebbe diventato campione anche con un quarto posto. Finì terzo e conquistò per un solo punto il suo unico titolo mondiale.
Niki Lauda: il secondo titolo mondiale e l’addio alla Ferrari
Al di là dell’incidente e delle sue conseguenze, per Lauda l’ambiente della Ferrari stava diventando sempre più difficile, una pressione indicibile da parte di squadra, media e dello stesso Enzo Ferrari. Le trattative per il rinnovo del contratto concluse l’anno precedente ancora prima dell’incidente avevano lasciato l’amaro in bocca al grande vecchio. I rapporti tra i due si erano notevomente incrinati. La stagione 1977 quindi si avviò reggendosi su un delicato equilibrio diplomatico interno, mentre Carlos Reutmann aveva sostituito Clay Regazzoni.
La 312 T2 era ancora molto competitiva, sebbene non godesse più del vantaggio tecnico di prima. La McLaren di Hunt, la Wolf di Scheckter e soprattutto la nuova Lotus ad effetto suolo di Mario Andretti furono avversarie molto temibili in quanto a velocità. Però soffrivano nell’affidabilità e rimediarono parecchi ritiri. Invece Lauda e la Ferrari formavano un “pacchetto” complessivamente più costante. L’austriaco nel 1977 ottenne solo tre vittorie: in Sudafrica, Germania (Hockenheim, la F1 aveva abbandonato definitivamente il Nürburgring) e Olanda. Ma i numerosi piazzamenti sul podio gli permisero di accumulare un consistente vantaggio in classifica, al punto di conquistare matematicamente il proprio secondo titolo mondiale con due gare d’anticipo sulla conclusione.
Nel frattempo però la storia tra Niki Lauda e la Ferrari era giunta al termine. Già il 29 agosto, dopo la gara in Olanda, venne annunciato che il pilota austriaco avrebbe lasciato Maranello al termine della stagione. Ma l’affronto finale ad Enzo Ferrari da parte del suo ex pupillo arrivò dopo la conquista matematica del titolo, quando Lauda decise che non avrebbe partecipato alle due gare rimanenti. Ferrari contattò gli altri due migliori piloti sulla piazza, Andretti e Scheckter, ma i loro contratti erano blindati. Trovò quindi un giovane e sconosciuto pilota canadese: Gilles Villeneuve.
Formula 1, Lauda alla Brabham
Niki Lauda aveva firmato un contratto con la Brabham-Alfa Romeo di Bernie Ecclestone. Nel 1978 la mitica Lotus 79 che avrebbe dominato la stagione non era la sola ad usare soluzioni che creavano l’effetto suolo, cioè una fortissima differenza di pressione tra l’aria che scorreva sopra la vettura e quella che le passava sotto, il che permetteva di aumentare enormemente il carico aerodinamico: maggiore era la velocità, più la vettura rimaneva schiacciata a terra, di conseguenza le sue prestazioni in curva aumentavano incredibilmente, oltre ad incrementare la stabilità in rettilineo.
La Lotus otteneva questo effetto tramite le famose minigonne. Alla Brabham il progettista Gordon Murray escogitò invece un sistema completamente diverso: un enorme ventilatore installato sul retro della vettura che aspirava il flusso d’aria. Non si può dire che non funzionasse, perché Niki Lauda vinse il GP di Svezia, ottava gara stagionale. E anche l’unica in cui il ventilatore apparve in F1: venne infatti immediatamente vietato, perché aspirava oltre all’aria anche sassi e altri detriti che venivano proiettati contro i piloti che seguivano.
La Brabham rimase quindi senza l’unico punto di forza di cui disponeva. Infatti la vettura era fragile e il motore Alfa, benché molto potente, era soggetto a frequenti rotture. Lauda subì numerosi ritiri e riuscì a vincere solo un’altra gara, quella di Monza, e nemmeno in modo diretto. Infatti, dopo il terribile incidente al via che costò la vita a Ronnie Peterson, e la successiva ripartenza, Andretti e Villeneuve si classificarono ai primi due posti però vennero entrambi squalificati per aver anticipato la partenza. Quindi la vittoria venne assegnata a Lauda, giunto terzo al traguardo.
Nel 1979 molte squadre copiarono il sistema di tubi laterali per l’effetto suolo, quindi la Lotus perse il suo vantaggio. La Ferrari emerse come auto migliore. La Brabham si dotò del nuovo motore Alfa Romeo V12 che sostituì il vecchio boxer, permettendo quindi di essere alloggiato con minori ingombri laterali, un vantaggio per l’aerodinamica. I cavalli c’erano ma l’affidabilità non era il suo forte, e nemmeno il supporto da parte della casa madre che aveva nel frattempo deciso di tornare in pista con un vettura propria (al punto che per le ultime gare stagionali la Brabham decise di lasciare l’Alfa e usare un motore Ford-Cosworth). La stagione per Lauda fu disastrosa: arrivò al traguardo solo due volte, quarto e sesto. Neanche nei primi anni con March e BRM se la passò così male. L’austriaco ne aveva abbastanza e decise di ritirarsi. Lo fece a modo suo, di colpo: dopo le prove libere del GP del Canada annunciò la propria decisione e salutò tutti, senza nemmeno prendere parte alle qualifiche.
Il ritorno in Formula 1: Niki Lauda alla McLaren
Il ritiro fu relativamente breve, solo due anni. Infatti nel 1982 Niki Lauda tornò in Formula 1, al volante di una McLaren, ancora motorizzata col Ford Cosworth aspirato. In quella stagione i motori turbo si erano definitivamente imposti; il mondiale fu vinto da Keke Rosberg su un’aspirata Williams-Ford ma solo a causa dei terribili incidenti dei piloti Ferrari che provocarono la morte di Gilles Villeneuve e il ritiro forzato di Didier Pironi. Lauda riuscì a vincere due gran premi, il che gli valse il quinto posto nella classifica finale.
Nel 1983 furono vietate le minigonne. Il motore aspirato Cosworth della McLaren ormai era diventato palesemente non competitivo e dopo due podi nelle gare iniziali Lauda non ottenne più risultati significativi. Negli ultimi quattro gran premi la McLaren portò in pista il nuovo motore turbo Porsche, ma diversi guasti non fecero mai tagliare il traguardo all’austriaco.
Nel 1984 la situazione cambiò radicalmente. Intanto il compagno di squadra di Lauda alla McLaren era diventato il giovane francese Alain Prost, al quale per un soffio era sfuggito il mondiale nella stagione precedente quando guidava la Renault. Le nuove regole che limitavano la capienza dei serbatoi e vietavano i rifornimenti crearono parecchi problemi agli assetati motori turbo. Ma la Porsche aveva una buona esperienza in materia, derivata dalla categoria sport prototipi dove si correva con regole simili. Allora la McLaren-Porsche si rivelò subito la vettura di gran lunga più competitiva.
Lauda e Prost si contesero il campionato a suon di vittorie. Il francese si aggiudicò sette gran premi, l’austriaco solo 5, ma i suoi piazzamenti furono migliori. Alla fine Niki Lauda diventò campione del mondo terminando la stagione con solo mezzo punto di vantaggio su Prost, poiché a Montecarlo la gara fu interrotta sotto la pioggia quando fu coperto meno del 75% dei giri previsti, quindi fu assegnato metà punteggio. Prost vinse il gran premio ma ottenne solo 4,5 punti invece di 9. In quella gara emerse prepotentemente l’arrembante Ayrton Senna.
Il ritiro definitivo di Niki Lauda
Nel 1985 invece le cose non andarono bene per il campione in carica. La McLaren era ancora la macchina migliore ma il suo vantaggio si era ridotto e nella prima parte della stagione la Ferrari di Michele Alboreto fu protagonista. Prost resse il confronto, per poi prendere il largo nella seconda metà anche grazie ad un incredibile errore tecnico della Ferrari (cambiarono fornitore del turbo e infilarono una serie pesante di rotture). Ma anche la McLaren di Lauda fu molto fragile; l’austriaco collezionò una lunga successione di ritiri. Riuscì a vincere solo in Olanda. Fu quello l’ultimo successo in Formula 1, infatti già nella corsa precedente aveva annunciato il suo secondo e definitivo ritiro.
Niki Lauda, smessi casco e tuta, si dedicò principalmente alla sua compagnia aerea con alterne fortune. E’ comunque sempre rimasto nell’ambiente della Formula 1, prima come commentatore televisivo, poi come consulente della Ferrari e infine presidente non esecutivo del team Mercedes. Nell’estate 2018 ha dovuto sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico per un trapianto di polmone. Un nuovo ricovero in primavera per problemi ai reni: complicazioni che ne hanno causato la morte prematura, avvenuta il 20 maggio 2019.