Le 5 Ferrari 250 più affascinanti della storia
Quella delle Ferrari 250 è una famiglia di alto lignaggio, che ha scritto la storia dell’auto. Impossibile resistere al fascino di questi gioielli motoristici. Scopriamo alcuni dei modelli più belli della serie.
Ferrari 250: un nome che fa venire i brividi d’emozione agli amanti delle belle auto. Portano questa sigla alcune creature straordinarie del “cavallino rampante“, entrate nell’antologia delle quattro ruote.
Abbiamo selezionato per voi 5 dei modelli più prestigiosi di questa nobile stirpe, che si è fissata in modo brillante nella storia della casa di Maranello. Sono autentici capolavori: opere d’arte di pregio assoluto, al cui cospetto si resta a bocca aperta.
Il valore milionario ne fa degli oggetti di alto collezionismo, ma il loro fascino non dipende certo dalle quotazioni, quanto dai contenuti straordinari che portano in dote, nelle varie dimensioni in cui li esprimono. Seguiteci nel viaggio alla loro scoperta. Non ve ne pentirete…
Ferrari 250 GTO
La Ferrari 250 GTO del 1962 è una freccia scarlatta di estrema efficacia. La linea slanciata del cofano, diverso da quello a muro della Berlinetta, nasce dalla nuova attenzione che Bizzarrini presta alla scienza aerodinamica, prima non curata con sufficiente determinazione.
L’affinamento della vettura sperimentale avviene tenendo conto dei dati raccolti alla galleria del vento del Politecnico di Milano. L’arretramento del motore consente un muso basso e lungo che, con la sua deportanza, offre un’ottimale resistenza al sollevamento in corsa. Tre feritoie semi-ovali caratterizzano il frontale, che sfoggia un incomparabile carisma.
Il parabrezza, visibilmente inclinato, garantisce una migliore scorrevolezza, mentre il lunotto orienta i flussi verso la vistosa appendice posteriore. Fra le innovazioni spicca l’adozione di una coda fast-back, con ampio e pronunciato spoiler che, per la prima volta, fa la sua comparsa su un’auto destinata al mercato. Il volume posteriore manipola il deflusso dell’aria, regalando alla 250 GTO una soddisfacente dose di carico verticale, utile a stabilizzare l’assetto.
L’incantevole sagoma sgorga dal nudo metallo grazie alle magiche virtù del grande Scaglietti. Il risultato è sbalorditivo! Nasce da un prototipo costruito a suon di martellate, sfruttando e riciclando gli avanzi d’officina. Questa “rossa” si erge al rango di icona del mito. È la perfezione fatta materia, plasmata divinamente sotto l’impeccabile regia di uomini cresciuti a pane e motori. Diventa presto il modello simbolo della produzione del “cavallino rampante”. Sarà l’ultima sportiva capace di passare con disinvoltura dalle strade alle piste.
La “O” della sigla diventa definitiva dopo che Ferrari avvisa i clienti dell’avvenuta omologazione nella categoria di riferimento. A spingerla ci pensa un classico 12 cilindri di 3 litri, disposto longitudinalmente. È un’evoluzione dell’unità Testa Rossa, che tante gioie ha regalato alla casa emiliana. Da essa discendono il basamento e l’albero motore. L’alimentazione di questa scultura meccanica è affidata a una batteria di 6 carburatori doppio corpo, posti al centro della V che separa le due bancate. Le testate sono in alluminio, come la snella carrozzeria.
Il telaio tubolare in acciaio, di tipo aeronautico, è molto più solido di quello della 250 SWB. Composto da elementi di piccolo diametro, consente di abbassare il centro di gravità delle masse. La lubrificazione a carter secco permette di ridurre l’altezza del cofano, mentre il posizionamento arretrato del motore garantisce una minore inerzia nei trasferimenti di carico. Il cambio a 5 rapporti sincronizzati è posto all’interno dell’abitacolo. Quattro potenti dischi smorzano la corsa dell’eccitante bolide che, grazie ai 300 Cv, sfiora i 290 km/h.
La 250 GTO viene prodotta in 39 esemplari: 32 con carrozzeria prima serie e 7 con carrozzeria seconda serie (GTO ’64). Nasce come evoluzione della 250 GT Competizione, ma è sostanzialmente nuova. Ferrari opta per una trasformazione radicale della vecchia Berlinetta (e non per un modello totalmente inedito) per superare lo scoglio delle 100 unità necessarie per l’omologazione nella categoria Granturismo. Il passo in avanti, rispetto alla base di partenza, è notevole. Lo sviluppo dell’auto, progettata da Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini, viene affidato al giovane Mauro Forghieri, che si dimostra all’altezza della situazione. Ottime le credenziali della nuova “rossa”, che ha le carte in regola per garantire un’orgia di successi all’azienda del Commendatore.
Sin dai primi test a Monza del 1961, con Stirling Moss al volante, la vettura prototipo, ancora in fase sperimentale, si dimostra capace di tempi degni delle monoposto a ruote scoperte. Il celebre pilota inglese ne rimane estasiato: non avrebbe immaginato simili performance da una creatura “convenzionale”. Ancora una volta per gli uomini di Maranello si aprono felici orizzonti di gloria. La 250 GTO guadagnerà tre allori iridati tra il 1962 e il 1964. Esordisce alla 12 Ore di Sebring del 1962, con Phil Hill e Olivier Gendebien, che giungono secondi, dietro la Sport TRI 61 di Bianchi-Bonnier. In parecchi frangenti, tiene tranquillamente il passo dei prototipi. Arriva quarta assoluta e prima di classe, con Ferraro e Scarlatti, alla Targa Florio.
Con Guichet e Noblet consegue il secondo posto alla 24 Ore di Le Mans, dietro la 250 P di Scarfiotti e Bandini. Vince alla 1000 km di Montlhéry e al Tourist Trophy. Nel corso della stagione si aggiudica in souplesse il Trofeo riservato ai Costruttori. Sarà così anche nei due anni successivi. L’auto arriverà prima assoluta alla 1000 km di Spa Francorchamps, al Tourist Trophy e al Tour de France del 1963. È la vera castigamatti della sua classe, nella quale trionfa con straordinaria frequenza. Impossibile enumerare i successi di questa meravigliosa creatura, nata dalla migliore interpretazione dell’idea Ferrari.
Per il 1964 la Casa di Maranello è certa di ripetere la felice saga, contando sulla nuova arma: la 250 LM. Ma la mancata omologazione di questa spinge il Commendatore a contrastare l’assalto dei rivali con un miglioramento della 250 GTO. La nuova versione differisce parecchio a livello estetico, con un’impostazione del padiglione che ricorda la Le Mans. Gli interventi consentiranno alle “rosse” di emergere ancora dal gruppo. Il siero del rinnovamento funziona e le protegge dal veleno lanciato dalle competitive Cobra. La gloriosa granturismo si congeda nel migliore dei modi, col terzo successo di fila nel Campionato Mondiale Marche.
Nell’anno dell’addio ufficiale numerose saranno le vittorie. Tra le altre, meritano di essere citate quelle ottenute al Tour de France, alla 2000 km di Daytona e alla 500 km di Spa del 1964. Impossibile elencare le imprese di questa meravigliosa opera d’arte, che ha inciso le note più belle nel pentagramma motoristico. Della sua nobile stirpe faranno parte anche due unità sperimentali, spinte da motori di 4 litri di cilindrata. Una di esse verrà iscritta alla Targa Florio del 1962 da Ferdinando Latteri, con la sigla 330 GTO/LM.
Ferrari 250 Testa Rossa
Anche in questo caso si parla di una regina assoluta dell’universo a quattro ruote. Nel palmares della Ferrari 250 Testa Rossa ci sono tre mondiali marche: quelli del 1958, 1960 e 1961. Gli 800 kg di peso sono lanciati alle velocità più elevate da un robusto 12 cilindri di origine Colombo, affinato da Carlo Chiti. Alimentato da 6 carburatori Weber, sviluppa una potenza di 300 Cv a 7200 giri al minuto. Il suono che emana produce immense scariche di adrenalina. È un vero piacere assistere al passaggio di questa opera d’arte.
La vettura “clienti” debutta nel novembre del 1957 e nasce sulla spinta delle evoluzioni regolamentari previste per la stagione successiva, che mirano a ridimensionare le prestazioni, per evitare gli eccessi dei bolidi più grossi. L’autorità sportiva internazionale ritiene che un buon viatico per ottenere lo scopo sia di ridurre a 3 litri la cilindrata delle Sport.
Da Maranello arriva con grande tempismo questa pungente arma, che aderisce al rigore delle nuove norme. La versione definitiva giunge a rimpiazzare la 500 TRC, con la quale condivide alcune architetture tecniche. Rispetto ad essa è molto più rabbiosa. Il suo debutto agonistico avviene nel gennaio del 1958, alla 1000 km di Buenos Aires, dove ottiene una magnifica doppietta, con Hill e Collins primi, seguiti da Von Trips, Gendebien e Musso, giunti alle loro spalle.
La 250 Testa Rossa è un vero rullo compressore. Miete successi nelle più disparate gare, a partire da Sebring. Vince la Targa Florio con Musso e Gendebien, che si ripeterà (in coppia con Hill) alla 24 Ore di Le Mans, consegnando alla Ferrari l’alloro iridato con una gara di anticipo. Hawthorn e Collins arrivano secondi alla 1000 km del Nurburgring. Nel 1959 si arricchisce dei freni a disco e di altre significative modifiche, che riducono il peso, fermando l’ago della bilancia su un valore inferiore di 50 Kg. La carrozzeria, realizzata da Fantuzzi, viene affinata dal maestro Pinin Farina, che la rende più fluida.
Spariscono le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi e il muso assume una diversa caratterizzazione. Diventa monolitico e a corpo unico, senza la scalfiture che tanta personalità davano alla versione precedente. In alcuni esemplari spunta un cupolino trasparente in plexiglas nel cofano motore, che lascia ben in vista i tromboncini di aspirazione. Una soluzione, quella di far vedere gli organi meccanici, ripresa da altri modelli di produzione successiva. Ma l’eredità più grande lasciata dalla 250 TR è la testimonianza storica.
Arriva prima e seconda alla 12 Ore di Sebring del 1959, con Hill e Gendebien seguiti da Behra e Allison, e coglie altri importanti piazzamenti, non sufficienti a consegnarle l’alloro iridato. Sulla stagione pesano sfortunate circostanze, come la scomparsa di alcuni piloti che avrebbero potuto regalarle un palmares più luminoso. A fine anno, nella classifica assoluta, la Ferrari sarà seconda, alle spalle dell’Aston Martin. Il bolide del “cavallino rampante” vince comunque la sfida con la Porsche, che giunge solo terza.
La nuova TRI del 1960 consegnerà alla Casa emiliana il settimo Campionato Mondiale Marche. Spinta da un’evoluzione del motore 3 litri, ora dotato di iniezione, lubrificazione a carter secco e sospensioni posteriori a ruote indipendenti, è ancora più estrema. Con questa vettura Olivier Gendebien e Paul Frere vinceranno una memorabile e decisiva edizione della 24 Ore di Le Mans. Grande l’evoluzione stilistica segnata dalla versione 1961, molto più attenta all’aerodinamica.
Il cofano posteriore –alto e massiccio- diventa piatto, con spoiler terminale e coda tronca, figlia di una felice intuizione di Giotto Bizzarrini, che la trasferirà sulla 250 GTO. Il parabrezza avvolge l’abitacolo, con un raccordo laterale che sigilla la parte superiore della carrozzeria. Il rinnovato frontale si compone di due prese d’aria a narici di naso. La carriera della Testa Rossa si chiuderà ufficialmente con un congedo di alto livello: un’altra vittoria alla 24 Ore di Le Mans! Il titolo iridato è ancora una volta nelle mani della Ferrari.
Ferrari 250 GT berlinetta passo corto SWB
La Ferrari 250 GT berlinetta passo corto è stata l’unica “rossa” guidata in gara da Stirling Moss, prima che un grave incidente costringesse il pilota inglese ad abbandonare le piste. Da molti è considerata la sintesi perfetta fra auto da corsa e stradale. Vince in circuito e sfila con nonchalance nelle località più alla moda, dando soddisfazione ad Enzo Ferrari.
Nella versione Competizione eroga la potenza di 280 Cv, prodotta da un magnifico dodici cilindri a due bancate di tre litri, che si eleva al rango di scultura meccanica. Da questo propulsore, imparentato con quello della 250 TR, deriverà l’unità destinata a spingere la mitica GTO. Il monoblocco e il basamento sono in silumin, con canne riportate. La carrozzeria in alluminio poggia su una rigida struttura in tubi di acciaio, con passo ridotto (di 20 cm) rispetto alle realizzazioni precedenti. Il contenimento dell’interasse nasce dal desiderio di rendere la nuova granturismo più maneggevole ed efficace della Tour de France, di cui prende il posto.
La migliore distribuzione dei pesi concorre a determinare un comportamento stradale ancora più incisivo. È una vettura fantastica ed è meglio conosciuta come SWB (Short Wheel Base), in virtù del telaio a passo corto. L’abbinamento con un motore elastico e robusto, con erogazione fluida e possente, lascia intuire il suo potenziale. La storia le darà ragione!
In pista la berlinetta di Maranello vince a iosa e il suo impiego non viene a scemare neanche dopo la nascita della sua erede. Gli entusiasti piloti possono contare su un eccellente feeling di guida, anche in fase di decelerazione. I quattro dischi della Dunlop (che rimpiazzano per la prima volta i tamburi) rallentano infatti senza scompensi gli oltre 960 kg di questo bolide che, nella sua lunga storia, saprà regalare copiose dosi di emozioni alla Ferrari e ai suoi appassionati.
La Ferrari 250 GT berlinetta passo corto è una vettura dalla doppia anima. Anzi è la creatura automobilistica che meglio incarna il concetto di versatilità sportiva! Negli anni Sessanta vince una quantità incredibile di gare, in mano a portacolori ufficiali e gentleman drivers. Il suo debutto avviene nel mese di ottobre del 1959. La sede del vernissage è il Salone dell’Auto di Parigi. Alla sua nascita convergono gli sforzi di tre grandi progettisti: Mauro Forghieri, Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini.
Il loro impegno congiunto sarà premiato dalle straordinarie qualità della loro figlia. Nel ricchissimo palmares della SWB troveranno spazio il successo al Tour de France, alla Coppa Intereuropa, al Tourist Trophy; la vittoria di classe alla 24 Ore di Le Mans, alla 1000 km di Monthlery, alla Targa Florio e in altre prestigiose gare, nelle mani dei più rinomati conduttori.
La sua incantevole linea raggiunge l’apice della bellezza nel volume posteriore, muscoloso ed armonico, che ben si sposa col frontale aggressivo e carico di rabbia corsaiola. Un muso cattivo e prestante, non privo di quella sublime grazia che si coglie in tutta l’irresistibile carrozzeria dello splendido gioiello, firmato ancora una volta Pinin Farina. Senza ombra di dubbio è uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi. Circa 200 gli esemplari prodotti, compresa la serie stradale.
Alle 120 versioni da competizione sarà infatti affiancato un certo quantitativo di berlinette in allestimento Lusso: il motore assume una taratura “turistica” e viene dotato di silenziatori allo scarico. Grazie a queste modifiche la potenza scende a 240 CV, ma cresce la fruibilità nell’impiego quotidiano. La carrozzeria è in acciaio, con plancia e portiere ben rivestite. L’abitacolo si arricchisce di confortevoli sedili in pelle, mentre i finestrini abbandonano i singolari pannelli in plexiglas.
Il peso lievita a 1100 Kg e il rapporto con la potenza diventa meno vantaggioso. Grandi le soddisfazioni regalate ai suoi fortunati possessori. La seconda serie di questa vettura si caratterizza per gli sfoghi dietro i passaruota, la timida apertura nella zona terminale del tetto e l’alloggiamento incassato della targa. In virtù di questi interventi diventa ancora più piacevole.
Ferrari 250 LM
È una creatura rivoluzionaria. Aspira a diventare la prima “rossa” stradale con motore posteriore centrale. Pur non correndo coi colori ufficiali della Scuderia, consegue risultati eccellenti. Condotta da abili drivers e gestita da team privati, rivela ben presto la sua inaudita efficacia.
Nasce dal desiderio di dar vita a una nuova granturismo capace di ripetere il felice cammino agonistico della GTO, che rimpiazza. Sarà però costretta ad affrontare le Sport, contro le quali riuscirà persino a vincere. È una vettura dallo stile particolare, che esprime un linguaggio nuovo nella produzione di “serie” di Maranello. Il design di Pininfarina, interpretato da Scaglietti, sfoggia un riuscito mix di aggressività corsaiola ed eleganza di classe. Difficile fare meglio con un’impostazione tecnica così estrema. Il frontale è corto e affilato, con calandra a bocca di pesce, mentre la coda si caratterizza per le esuberanti rotondità. L’accentuato spoiler, disposto nel volume terminale, svolge un’importante funzione di stabilizzazione aerodinamica.
Particolarmente sinuoso il disegno dei passaruota posteriori, sormontati da una splendida feritoia destinata all’alimentazione. Il lunotto è incapsulato in una cornice che, nella vista laterale, dà continuità al tetto, digradando con due piccole pinne verso il cofano motore. Il generoso cuore di 3.3 litri a 12 cilindri, disposto in posizione centrale, eroga la ragguardevole potenza di 320 Cv a 7500 giri al minuto. Abbinato a un corpo vettura con carrozzeria in alluminio, garantisce un livello prestazionale degno delle migliori realizzazioni di famiglia. La berlinetta presentata al Salone dell’Auto di Parigi del 1963, che si svolge alle porte di Versailles, è una diretta discendente della 250 P, alla cui linea si rifà. Da questa eredita pure il telaio in tubi tondi di acciaio, integrati da pannelli in alluminio.
Solo il primo esemplare, incendiatosi a Sebring, monta il classico 3 litri derivato dal Testa Rossa. Gli altri verranno dotati di propulsori di 3.3 e 4 litri. A dispetto della mutata cilindrata specifica la sigla resterà inalterata, perché i cataloghi sono già andati in stampa col nome 250 Le Mans. La sua missione è quella di dominare il Campionato Granturismo. Per riuscirci fa incetta di novità, a partire dalla disposizione posteriore del motore. Le autorità sportive sono disposte ad omologarla a condizione che vengano costruiti almeno 100 esemplari, livello inaccessibile per la piccola factory emiliana. La FIA, che era già caduta nelle intelligenti trovate del Drake, questa volta è irremovibile nei suoi propositi, e obbliga Ferrari ad iscrivere la vettura nella più estrema categoria Prototipi.
La filante sportiva è allora costretta a confrontarsi con bolidi più specializzati, concepiti espressamente per i campi di gara. Questo spiega le ragioni del disimpegno ufficiale della Casa del “cavallino rampante” che, fra le granturismo, continua a dominare con la GTO. Ma la nuova nata non tarderà a mettersi in luce, cogliendo risultati sorprendenti. Gli avversari, felicemente illusi, capiscono presto di avere a che fare con un modello di rara efficacia. Nelle diverse condizioni di impiego non soffre complessi di inferiorità rispetto alle regine della classe. Dimostra ben presto di essere all’altezza della situazione, confermandosi un purosangue di ottima razza. L’auto è molto veloce e Luigi Chinetti, titolare della NART, ne coglie al volo le qualità. Altri lo seguiranno a ruota, accordando fiducia a un prodotto che saprà ampiamente ripagarli.
Numerosi i suoi successi, a partire dalla doppietta alla 12 Ore di Reims del 1964, con Hill e Bonnier davanti a Surtees e Bandini. La “rossa” giunge ottava alla 49ma Targa Florio del maggio 1965, nelle mani di Taramazzo e Sigala. Nel corso della stagione primeggia in diverse altre sfide. Alla 500 Km di Spa Francorchamps consegue una strepitosa doppietta, con Willy Mairesse e David Piper. Si appropria dei primi tre posti al Gran Premio del Mugello, vinto da Casoni e Nicodemi. Indirizzata ai clienti privati, agguanta il suo più prestigioso trionfo alla 24 Ore di Le Mans dove, condotta da Masten Gregory e Jochen Rindt, riesce ad emergere nella colossale sfide coi prodotti a “stelle e strisce”. La gioia del Commendatore è completata dal secondo posto della vettura gemella di Dumay e Gosselin e dal sesto di quella di Spoerry e Boller. Nel 1966 il piccolo “prototipo” è primo alla 1000 Km di Parigi, con Piper e Parkes. La 250 Le Mans continuerà ad essere impiegata fino al 1970, raccogliendo un’interminabile serie di successi. Si congeda con tutti gli onori, dopo aver espletato con grande efficacia una difficile missione. Le sue eroiche imprese resteranno incise nel cuore degli sportivi di tutto il mondo.
Ferrari 250 California SWB
La Ferrari 250 California SWB scatena la sfida dei collezionisti nelle aste internazionali, a suon di rilanci che fanno lievitare le cifre in ballo per aggiudicarsela. Questa meravigliosa auto storica, di nobile provenienza, è una delle più belle mai costruite. Una superba opera di Maranello, seducente ed esclusiva, che oggi vale fior di quattrini. Le sue linee, perfettamente bilanciate, consegnano alla vista un capolavoro, che si rivela tale anche nella meccanica e nelle emozioni elargite ai fortunati passeggeri.
Guardandola si rimane affascinati dalla silhouette, che si combina al fascino della sua storia e delle sue alchimie dinamiche. Con questa spider è possibile dominare la scena nei raduni e nei concorsi d’eleganza più prestigiosi del pianeta.
L’idea della casa di Maranello fu tradotta in forma e materia da Sergio Scaglietti, cui va il merito di un equilibrio espressivo straordinario, dove nulla è fuori posto e dove tutto è collocato armonicamente nella preziosa tela grafica generale. In alcuni esemplari i gruppi ottici anteriori sono scoperti, mente altri furono dotati dei fari carenati, a mio avviso più belli.
Ad assicurare la spinta provvede un motore V12 da tre litri, in grado di sviluppare 280 cavalli di potenza, espressi in modo melodico e con grande grinta, secondo la tradizione del “cavallino rampante”. Il telaio a passo corto ha un interasse di 2400 mm, come sulle altre “rosse” Short Wheel Base. La Ferrari 250 California è una vera icona, una leggenda nella leggenda. Averne una in garage è il sogno di ogni collezionista. Qualcuno potrà coronarlo facendosi carico di un esborso milionario.